Rinnovabili • Rinnovabili •

CCS: chi preme per il “carbone pulito” in Europa?

Si torna a parlare di CCS con l’evento di settore ospitato all’Europarlamento. Tecnologia definita dai big degli idrocarburi "essenziale" per raggiungere l’80-95% dell’obiettivo di riduzione delle emissioni

CCS: chi preme per il “carbone pulito” in Europa?

 

(Rinnovabili.it) – Non viene meno l’appeal della tecnologia del CCS, Carbon Capture and Storage. Al contrario, per quello che viene spesso chiamato indebitamente carbone pulito, cresce la pressione a livello mondiale, sostenuta in gran parte dai big degli idrocarburi. Come nel caso di Exxon Mobil, coinvolto in un quarto di tutti i progetti CCS oggi esistenti.

In realtà è stata la stessa COP 21 sui cambiamenti climatici a legittimare la tecnologia, su cui l’Europa torna oggi a riflettere come sistema “imprescindibile” per ottenere la riduzione delle emissioni richiesta dall’accordo di Parigi.

 

E lo fa attraverso l’Assemblea generale del CCS ospitata dall’eurodeputato Lambert van Nistelrooij al Parlamento Europeo. Attraverso una serie di tavole rotonde, l’evento – dal titolo “Unlocking Clean Growth Through Carbon Capture and Storage”- ha esplorato il ruolo della CCS nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica in Europa, alla presenza di organizzazioni e istituzioni di alto livello, tra cui la Commissione Europea, il governo norvegese, l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) e Congresso dei Sindacati europeo.

 

In base al report presentato dalla Zero Emission Technology and Innovation Platform (ZEP), organizzatrice dell’evento, in almeno 10 Paesi la tecnologia di sequestro della CO2 sarà “essenziale per conseguire l’obiettivo di riduzione delle emissioni dell’80-95% come stabilito l’UE 2050 Energy Roadmap”. Per gli autori non si tratta solo di una questione ambientale ma anche di una gara per mantenere la competitività delle industrie europee come l’acciaio, il cemento, i prodotti chimici e quelle di raffinazione. Ma, sprona il report, bisogna iniziare subito, fin dal 2020. “Non solo CCS è pronto per la distribuzione commerciale, ma la nostra nuova modellazione dimostra che il suo valore per l’Unione europea potrebbe superare 1000 miliardi di euro entro il 2050”, spiega Graeme Sweeney, presidente della ZEP che ha tra i membri società come la BP, la Shell e la Statoil.

 

In realtà i conti sulla convenienza o meno del carbone pulito sembrano variare molto a seconda di chi tiene in man la calcolatrice. Secondo diversi esperti, come Mike Barnard, ricercatore dell’Energy and Policy Institute (EPI), le tecniche CCS “non saranno mai economicamente sostenibili rispetto alle alternative”. Servirebbe un’infrastruttura di distribuzione due o tre volte quella che oggi permette la distribuzione dei combustibili fossili, e “si tradurrebbe in un costo dell’elettricità quattro o cinque volte più alto”. Per il Clean Coal Center della AIE, il punto focale è il costo associato alle enormi quantità di energia necessaria per la cattura e lo stoccaggio della CO2, che determinerebbe aumenti importanti del prezzo dell’elettricità finale e renderebbe la commerciabilità di questa tecnica praticabile solo con un prezzo del carbonio di 60 dollari per tonnellata.