BEI: l’ennesimo rinvio sugli investimenti fossili

Germania, Italia e Commissione Europea, da un lato. Spagna, Francia e Regno Unito, dall’altro. Questi gli schieramenti sul campo degli investimenti fossili, che non solo mettono in luce una spaccatura fra gli Stati membri, ma anche i conflitti interni alla Commissione.

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Credits: BEI

La decisione, rinviata al 14 novembre, fa emergere il conflitto tra la BEI e la Commissione Europea

 

(Rinnovabili.it) – La tanto attesa decisione della Banca Europea degli Investimenti (BEI), che sarebbe dovuta arrivare proprio ieri, è stata rinviata al 14 novembre. A quando pare, la scelta di interrompere il finanziamento di progetti che coinvolgono l’impiego di combustibili fossili trova molti ostacoli in alcuni Stati membri dell’UE, azionisti della BEI.

 

Fra i principali, la Germania (la più grande economia europea e dunque il maggiore azionista della BEI), che non vuole cedere sui finanziamenti di progetti legati al gas naturale, individuato come il combustibile numero uno della transizione energetica nazionale. Sostenuta dalla Commissione Europea e da un’Italia che si attesta su posizioni di scetticismo, la Germania ha trovato un muro in Francia, Spagna e Regno Unito, che hanno espresso una posizione di tolleranza zero sui combustibili fossili. Tuttavia, proprio il Regno Unito potrebbe essere eliminato dall’equazione se la Brexit procedesse come previsto il 31 ottobre, indebolendo la posizione dei più duri e puri.

 

Come già si era preannunciato, la controversia nasce su cosa sia un “investimento verde”: smettere di impiegare un combustibile fossile o usarlo in un certo modo per promuovere gradualmente (e, soprattutto, senza eccessivi terremoti economici) un modello economico sostenibile?

 

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Ma non solo. Secondo le fonti di EURACTIV, un altro punto dolente sarebbero le tempistiche. Infatti, l’ultima bozza di proposta della BEI introduce già delle esenzioni per gli impianti di gas naturale più efficienti e una serie di altre misure volte a prolungare il sostegno al combustibile di carbonio. Ma la posizione di Werner Hoyer, presidente BEI, è quella di spingere affinché la banca elimini del tutto dal suo portafoglio di prestiti i progetti ad alte emissioni entro il 2020. E, data la struttura della banca, in base alla quale il numero di azioni detenute dagli Stati membri influisce sul peso del voto, sembra inevitabile dover scendere a compromessi anche su questa dead line. Infatti, per evitare spaccature, sarebbe desiderio della BEI non dover ricorrere al voto ma al consenso. Tuttavia, dato anche il rinvio della decisione, il rischio del voto sembra palesarsi all’orizzonte.

 

Bas Eickhout, eurodeputato verde olandese, ha dichiarato a EUROACTIV che “la lobby fossile si concentrerà sulla Germania e sull’Italia per spingere a favore dei sussidi fossili. In tal caso, la visione economica di Ursula von der Leyen fallirebbe già prima ancora che i lavori della nuova Commissione abbiano avuto inizio”.

 

Infatti, la stessa posizione della Commissione Europea appare controversa. Se, da una parte, il suo presidente ha espresso sin dall’inizio del mandato delle dichiarazioni molte chiare sulla necessità di trasformare la BEI in una Banca Climatica, dall’altra i suoi membri sostengono la Germania opponendosi agli impegni climatici che il braccio finanziario dell’UE vorrebbe prendere. Sebbene la Commissione non abbia un voto, ha un posto al tavolo e finora ha svolto un ruolo cruciale nel promuovere cambiamenti

 

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“La possibilità di trasformare la Banca europea per gli investimenti in una banca climatica sta svanendo”, ha affermato Alex Doukas, analista capo del think tank Oil Change International che, unendosi ad altri gruppi ambientalisti come il WWF, sta sollecitando gli Stati membri a sostenere la proposta della BEI al prossimo novembre.

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