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Il G20 regala 77 miliardi l’anno ai combustibili fossili

Il nuovo dossier di Oil Change e Friends of the Earth mostra gli aiuti pubblici dei paesi sviluppati al settore dei combustibili fossili. Fra le maglie nere anche l'Italia: 2,5 miliardi a progetti inquinanti, solo 200 milioni alle rinnovabili

combustibili fossili g20
Foto di Rudolf Rantzau da Pixabay

di Francesco Panié

(Rinnovabili.it) – Dalla firma dell’accordo di Parigi ad oggi, i paesi del G20 hanno destinato ogni anno almeno 77 miliardi di dollari a progetti di sviluppo dei combustibili fossili – carbone, gas e petrolio. La cifra, contenuta nell’ultimo rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth USA, è il triplo di quella destinata alle energie rinnovabili.

Dal canto suo, l’Italia ha elargito oltre 2,5 miliardi di dollari in denaro pubblico alle fossili, mentre solo 250 milioni sono andati alle rinnovabili. 

I ricercatori mettono in connessione questa sperequazione con l’opportunità di cambiare rotta visto il momento congiunturale. Mettendo a rischio la vita di milioni di persone, la pandemia ha spinto i governi a varare pacchetti di stimolo economico mai precedentemente presi in considerazione: ora c’è la possibilità di utilizzare questi fondi per una transizione in chiave ecologica.

“Già in tempi normali – affermano – gli istituti finanziari per lo sviluppo, le agenzie di credito all’esportazione e le banche multilaterali di sviluppo avevano un impatto forte sul panorama energetico e una maggiore capacità rispetto al settore privato di agire sulla crisi climatica. Nel momento attuale, il loro potenziale l’influenza si è moltiplicato ed è indispensabile un cambio di rotta”. 

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Oltretutto, scrivono nel rapporto, il settore dei combustibili fossili stava mostrando segni di declino sistemico anche prima della pandemia. Solo che è stato veloce a utilizzare questa crisi per avanzare richieste di sussidi e salvataggi. 

“Non possiamo permetterci l’ondata di finanza pubblica che si sta innalzando per dare sollievo e sostenere gli sforzi di recupero dell’industria fossile come in passato. Le attività business as usual aggraverebbero l’altra crisi, quella climatica, che sta già bussando alla porta”.

Il dossier di Oil Change e FOEE US entra nel dettaglio del triennio 2016-2018, mettendolo in relazione a quello pre-Parigi (2013-2015). Dalle 45 pagine di analisi emerge che il sostegno pubblico del G20 ai combustibili fossili non è diminuito dalla firma dell’accordo sul clima. Anzi, i progressi fatti nel triennio 2013-2015 sul carbone sono stati cancellati con l’aumento, nel triennio successivo, degli aiuti annuali di 1,3 miliardi di dollari. Il supporto per progetti di oil&gas è rimasto stabile a 64 miliardi l’anno. Numeri che dimostrano che le istituzioni di finanza pubblica sono lungi dall’allineare le pratiche concrete agli impegni presi per limitare il riscaldamento a +1,5 °C entro fine secolo rispetto ai livelli preindustriali.

Le agenzie di credito all’esportazione hanno giocato un ruolo determinante in questa partita, sostenendo petrolio, gas e carbone in misura enormemente superiore alle energie pulite. Si tratta, in cifre, di 40 miliardi contro nemmeno 3. La forbice si nota anche negli aiuti erogati dalle istituzioni di finanza pubblica: 25 miliardi di dollari l’anno contro 8. Se questi attori hanno complessivamente ridotto un poco il sostegno alle fossili rispetto al triennio precedente all’accordo sul clima, le banche multilaterali di sviluppo l’hanno aumentato (+3,4 miliardi).

La maggior parte del denaro viene da paesi come Cina, Canada, Giappone e Corea. La Cina, da sola, ha elargito quasi 25 miliardi l’anno in aiuti pubblici a progetti inquinanti, il Canada (35 milioni di abitanti) ha superato i 10, tutti finiti al settore oil&gas. Sfruttare i giacimenti di sabbie bituminose, combustibile fra i più “sporchi” al mondo, costa caro in termini energetici ed economici.

La Banca europea degli investimenti e la Banca Mondiale sono stati gli istituti leader nel sostegno alle rinnovabili, sebbene l’aiuto alle fossili sia ancora molto presente nei loro piani di finanziamento. Nonostante una riforma che dovrebbe prendere l’abbrivio dal 2021, la BEI non ha sciolto il nodo del gas, salvando tutti i progetti in essere e lasciando aperta la possibilità di nuovi finanziamenti fino alla fine del prossimo anno. 

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Ma non c’è più tempo per ottemperare agli impegni di decarbonizzazione. Il rapporto delle due organizzazioni pone come passaggio obbligato uno stop totale e immediato dei finanziamenti pubblici per infrastrutture e progetti fossili, intendendoli sia come supporto alla filiera produttiva, sia come aiuti indiretti a infrastrutture dell’indotto, servizi di consulenza, assistenza tecnica o intermediazione finanziaria. Allo stesso tempo, servirebbe un veloce aumento degli investimenti in energie pulite, efficienza energetica e un’attenzione spasmodica alla giusta transizione, per sostenere i lavoratori di settori che finiranno fuori mercato.

In sostanza, occorre allineare tutte le attività finanziarie con il percorso di riduzione delle emissioni coerente con il tetto del grado e mezzo concordato a Parigi. Per vincere questa sfida quasi impossibile, non possono mancare strumenti di analisi e reporting dei progressi che siano trasparenti. Ad oggi tutte le stime – anche quelle contenute nel report di Oil Change e Friends of the Earth – sono conservative, perché mancano dati di qualità e accessibili.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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