La Cina può accelerare il ritmo della transizione energetica?

Secondo l’ultimo dossier dell’Agenzia internazionale dell’energia, la Cina può avvantaggiarsi da una transizione più rapida, che arrivi al picco emissivo prima del 2030 e alla neutralità climatica prima del 2060. Al centro degli sforzi il settore energetico, ma non servirebbero più investimenti di quelli già previsti

Transizione energetica, l’IEA: ecco come la Cina può accelerare
Foto di mohamed ramzee da Pixabay

Il rapporto dell’IEA sugli scenari della transizione energetica di Pechino

(Rinnovabili.it) – La Cina può accelerare significativamente la sua transizione energetica e raggiungere la neutralità climatica ben prima del 2060, l’obiettivo ufficiale indicato da Pechino. Tutte le attenzioni devono convergere sul settore energetico, che da solo produce il 90% delle emissioni di gas serra del colosso asiatico. Non servono misure draconiane: esiste un percorso per ripulire l’economia cinese senza far pagare un prezzo salato alla popolazione e frenare la corsa del paese per affermarsi come prima superpotenza economica al mondo.

Lo sostiene l’IEA, l’Agenzia internazionale per l’energia nel rapporto An Energy Sector Roadmap to Carbon Neutrality in China pubblicato oggi. Un dossier frutto del lavoro gomito a gomito dell’agenzia guidata da Fatih Birol e le istituzioni cinesi, dove si delinea una roadmap credibile e solida per accelerare la transizione energetica.

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In realtà, i percorsi presentati nel dossier sono due. Il primo viene chiamato Announced Pledges Scenario (APS) e rispecchia gli obiettivi sul clima annunciati un anno fa dal presidente Xi Jinping (neutralità climatica nel 2060 e picco delle emissioni prima del 2030), ma aggiunge quella tabella di marcia dettagliata che Pechino non ha ancora annunciato. E fornisce un termine di paragone per valutare quanto la Cina sta mantenendo la sua promessa.

Il secondo percorso – Accelerated Transition Scenario, ATS – è quello più ambizioso. Ma anche quello che darebbe più benefici all’economia cinese. Con politiche energetiche più mirate, la Cina dovrebbe determinare un declino più rapido nell’uso del carbone nell’energia e nell’industria, una maggiore diffusione delle tecnologie esistenti a basse emissioni di carbonio e ottenere prima guadagni in termini di efficienza. In questo scenario, “nel 2030, le emissioni di CO2 del settore energetico sono 2 Gt, o quasi il 20%, inferiori” rispetto al loro livello attuale”. L’ostacolo è solo politico, non economico: l’IEA sottolinea che “le esigenze di investimento non sono un ostacolo importante: gli investimenti cumulativi nell’ATS sono simili a quelli nell’APS”.

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Un secondo ambito di azione per Pechino è includere tutti i tipi di emissioni nell’obiettivo di neutralità di carbonio. Ciò richiederebbe di ripulire rapidamente il settore energetico, dove è più semplice intervenire, per compensare le emissioni di altri settori, più difficili da abbattere. Nel lungo termine, questo impegno si tradurrebbe nell’aumentare del 20% la capacità installata di fotovoltaico al 2050 rispetto a quella stimata in base agli obiettivi di oggi: in tutto, 1.400 GW.

E poi il nodo delle industrie ad alta intensità energetica. Nel primo scenario, “circa il 40% delle riduzioni delle emissioni di CO2 del settore energetico cinese nel 2060 proviene da tecnologie che sono ancora in fase di prototipo o dimostrazione oggi”, nota l’IEA. Per questo “è essenziale disporre di tecnologie industriali a basse emissioni di carbonio nuove ed emergenti al momento della prevista eliminazione graduale della capacità esistente, in modo da evitare la necessità di un ulteriore ciclo di rinnovo della capacità ad alta intensità di emissioni”.

Per limitare il peso socio-economico di una transizione accelerata, conclude l’IEA, la Cina deve correre proprio in questo decennio. Non è un controsenso: una “azione tempestiva significa che il ritmo medio annuo di riduzione delle emissioni richiesto per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 è inferiore di quasi il 20% nel periodo 2030-2060 rispetto all’APS, lasciando più tempo ai mercati per adeguarsi e alle imprese e ai consumatori per adattarsi”.

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