Quando un intervento può definirsi ristrutturazione edilizia? La sentenza del Consiglio di Stato chiarisce i confini normativi tra demolizione, ricostruzione e nuove edificazioni

Come capire se un intervento edilizio è considerabile come una ricostruzione o come una nuova costruzione? Quando una demolizione con ricostruzione può essere qualificata come ristrutturazione edilizia? E soprattutto, se l’edificio è crollato in passato, si potrà ancora sfruttare il concetto di ristrutturazione?
Domande più frequenti di quanto si potrebbe pensare, in un contesto legislativo che non sembra essere in grado di rispondere ai dubbi. Primo fra tutti gli accusati è proprio il Testo Unico Edilizia Dpr 380/2001, rivisitato, modificato, aggiornato e “rattoppato” nel tempo, senza tuttavia essere mai in grado di rispondere in maniera univoca sulle questioni più dibattuti del panorama edilizio italiano.
Differenza tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione
Ancora una volta è la giustizia amministrativa a rispondere ai dubbi dei cittadini e dei contribuenti, sintomo chiaro della necessità imminente di una riscrittura completa del Testo di riferimento per l’Edilizia.
Il caso sul quale si è espresso il Consiglio di Stato, sezione IV con la sentenza numero 02857/2025, riguarda un intervento eseguito come ristrutturazione edilizia in seguito ad un crollo (o demolizione) di una struttura e per il quale è stato chiesto un regolare permesso di costruire. Il Comune ha però negato l’autorizzazione a procedere ritenendo che si trattasse di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia dato che il crollo della struttura originaria era sopravvenuto diversi anni addietro. Dello stesso parere anche il TAR chiamato in causa successivamente. Ma il Consiglio di Stato è di tutt’altro parere.
Consiglio di Stato: non esistono vincoli temporali per la demolizione e ricostruzione
Al centro della controversia c’è l’interpretazione dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. 380/2001, poi modificato dal d.l. 69/2013, che amplia il concetto di ristrutturazione edilizia includendo anche la ricostruzione di edifici crollati o demoliti, purché se ne possa accertare la consistenza preesistente. Il testo afferma:
“Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”
Come detto il Consiglio di Stato non condivide l’impostazione del TAR e del Comune, motivando la sua decisione secondo tre principi cardine:
- La ristrutturazione edilizia può includere anche ricostruzioni non contestuali alla demolizione o al crollo avvenuto prima dell’entrata in vigore del Dl n.69/2013, a patto che l’intervento di ripristino avvenga dopo l’entrata in vigore della norma;
- La preesistenza dell’edificio crollato o demolito deve essere documentabile, e chiarire con certezza l’identità e le caratteristiche dell’edificio preesistente (volume, sagoma, ecc.);
- Non esistono vincoli temporali per la ricostruzione post demolizione o crollo, dato che il Dl 69/2013 ha una funzione estensiva, intesa ad ampliare le possibilità di recupero del patrimonio edilizio esistente, non a limitarle.
L’elemento distintivo rispetto alla nuova costruzione è la continuità con l’edificio originario, identificabile nei suoi connotati fondamentali (mura, struttura, copertura).
Al contrario, se restano solo tracce minime dell’edificio, tali da non permettere una ricostruzione fedele, l’intervento si configura come nuova costruzione e non come ristrutturazione.
Il caso del Salva Milano
Il concetto di ristrutturazione edilizia in contrapposizione alla nuova costruzione è al centro anche della recente questione urbanistica sorta nella città di Milano, che ha spinto alla proposta del cosiddetto “Salva Milano”, un intervento normativo ad hoc volto a superare un blocco interpretativo che stava paralizzando molti interventi edilizi nella città.
Il problema in questo contesto è di dimensioni decisamente superiori però.
La Procura ha avviato un’indagine sull’illegittimità di numerosi interventi di demolizione e ricostruzione che, pur configurandosi di fatto come nuove edificazioni, sono stati inquadrati nell’alveo della ristrutturazione edilizia per beneficiare di un iter autorizzativo semplificato.
Nel mirino degli inquirenti è finita la stagione dell’urbanistica verticale che, negli ultimi anni, ha visto sorgere decine di torri grazie all’utilizzo della categoria di “ristrutturazione con demolizione e ricostruzione”. Una forzatura, sostengono gli investigatori, che avrebbe consentito a diversi sviluppatori di aggirare vincoli urbanistici e volumetrici propri della nuova costruzione, accelerando l’iter autorizzativo e abbattendo i costi.
Alla luce di questa inchiesta e della recente pronuncia del Consiglio di Stato, emerge con ancora maggiore forza l’urgenza di una riforma organica del Testo Unico dell’Edilizia.