Investimenti verdi: tra incertezze e opportunità

Secondo l’OCSE, sono necessari 4,3 mila miliardi di dollari di investimenti verdi per limitare il riscaldamento globale a 2° C entro il 2035.

Investimenti verdi
Credits cloudlynx da Pixabay

Nonostante non sia ancora chiaro cosa siano gli “investimenti verdi”, il mercato non può più farne a meno

(Rinnovabili.it) – Dal lancio del primo green bond, il Climate Awareness Bond del 4 luglio 2007 da parte della Banca europea per gli investimenti (BEI), le obbligazioni verdi hanno registrato molti progressi. Il 2019, ad esempio, ha visto l’emissione di 1.788 obbligazioni verdi da 496 diversi emettitori (tra cui banche, entità nazionali e sovranazionali), con una particolare preponderanza del settore energetico, edile, dei trasporti ed idrico. Il valore di queste obbligazioni è stato di 257,7 miliardi di dollari, segnando un netto miglioramento rispetto ai 41,8 miliardi nel 2015. Tuttavia, una grande sfida è ancora quella di definire con chiarezza cosa siano gli “investimenti verdi”.

Lo slancio del 2019 è stato dovuto soprattutto all’ingresso di 250 nuovi attori finanziari e, al contempo, alla maggiore consapevolezza degli investitori, che attribuiscono un valore sempre più crescente agli investimenti verdi etichettati e certificati. Il 2014 ha visto anche il lancio di due importanti indici di obbligazioni verdi: Bloomberg MSCI e S&P Green Bond, che hanno monitorato lo sviluppo dei green bond attraverso rigorosi standard di investimento e performance tanto che, secondo i rapporti di Moody’s e Climate Bonds Initiative, si prevede una crescita del 24-55% del valore delle emissioni verdi nel 2020.

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Ma cosa vuol dire “verde”? L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) stima un requisito minimo di 4,3 mila miliardi di dollari per limitare il riscaldamento globale a 2° C entro il 2035, quindi riconoscendo negli investimenti verdi uno strumento essenziale in questa direzione. Man mano che l’azione e il rischio climatici diventano sempre più centrali nella definizione delle politiche pubbliche e nella strategia aziendale, gli investitori istituzionali e privati si stanno sempre di più concentrando sulle loro pratiche di governance ambientale, sui sistemi di gestione e sui criteri di investimento. Ciò si è tradotto in una forte domanda di strumenti di debito verde.

Tuttavia, come ha affermato Christa Clapp, responsabile del finanziamento del clima presso il Centro norvegese per la ricerca internazionale sul clima e l’ambiente (CICERO), “la mancanza di chiarezza tra gli emittenti e i sottoscrittori su quali attività si qualificano come verdi, insieme alla complessità dovuta al passaggio da attività non verdi a attività verdi” ha reso particolarmente difficile per le aziende e le industrie, specie se mancanti di una solida esperienza ambientale, entrare nel mercato delle obbligazioni verdi. Questa incertezza deriva in parte dall’assenza di standard ampiamente accettati, che apre al rischio di greenwashing nel peggiore dei casi. Nel 2019, ad esempio, la Cina ha emesso obbligazioni verdi per finanziare progetti energetici basati sul carbone con l’etichetta “carbone pulito”.

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Nonostante questa incertezza, gli esperti hanno concordato che gli investimenti verdi offrono a coloro che emettono le obbligazioni una serie di opportunità: diversificare la base degli investitori; aiutare le aziende a comunicare sulla propria visione e i propri obiettivi; aiutare a rispondere alla pressione degli investitori; raggiungere la conformità normativa. Dunque, data la crescente domanda e le incertezze sulla definizione di investimento verde, il mercato ha risposto con una varietà di opzioni. Ma esistono anche dei sistemi di certificazione che possono, oggi, dare una mano.

Il Climate Bonds Standard and Certification Scheme gestito dalla Climate Bonds Initiative (CBI) è uno schema di certificazione internazionale per investimenti verdi. L’iniziativa fornisce 12 criteri di valutazione (che vanno dalla silvicoltura e l’agricoltura, alle energie rinnovabili e agli edifici a basse emissioni di carbonio) e un meccanismo di revisione esterna, svolto da istituzioni indipendenti con esperienza ambientale. La percentuale di obbligazioni e investimenti verdi che hanno ricevuto una revisione esterna è aumentata dal 65% del 2015 all’82% del 2017.

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Tuttavia, la stessa certificazione – insieme ai di sistemi di revisione esterna – deve affrontare una serie di sfide. Infatti, la grande quantità di opzioni disponibili rende difficile creare un insieme coerente di standard. Inoltre, secondo gli analisti, gli investitori tendono non fare distinzioni tra obbligazioni verdi in base al fatto che siano certificate o che abbiano un’opinione di terzi. Piuttosto, l’attenzione è rivolta alle società emittenti e alla loro storia, in base alla sua credibilità o meno rispetto a questioni ambientali, sociali e di governance.

Inoltre, secondo Todd Gartner, capo della Natural Infrastructure Initiative presso il World Resources Institute intervistato da GreenBiz , “molti investitori dimostrano di voler acquistare obbligazioni non certificate e, dal canto loro, gli emittenti “attualmente non vedono vantaggi netti tra un’obbligazione certificata rispetto a una non certificata“. Da questo punto di vista, l’assenza di un “premio di certificazione” diventa importante, soprattutto perché i costi di certificazione (che vanno da 10.000 a 150.000 dollari) possono essere interpretati come ingiustificati.

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Nonostante l’attuale mancanza di evidenti benefici finanziari, però, il futuro fa presagire un numero maggiore di danni derivanti dai cambiamenti climatici e strumenti come obbligazioni e investimenti verdi potrebbero essere oggetto di un crescente controllo, tra cui quadri normativi e revisioni contabili più rigorose. L’Unione Europea, d’altro canto, sta già prendendo provvedimenti in questo senso. Non a caso, gli esperti propongono uno standard ufficiale di obbligazioni verdi dell’UE come componente chiave del Green Deal.

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