Non c'è politica di internalizzazione che tenga. La Cina domina il 70% della capacità produttiva ed è il mercato più attraente per gli investitori nel green tech. Intanto continua l'overcapacity industriale, riducendo i margini di profitto

Il rapporto Energy Transition Supply Chains 2025 di BloombergNEF
Non c’è politica protezionistica che tenga. La Cina continua ad essere il mercato numero uno per la produzione di tecnologie pulite, sia sotto il profilo della capacità che degli investimenti attratti. Ma le catene di approvvigionamento stanno tracciando nuove rotte. E mentre l’Occidente tenta con tutte le forze di “riportare a casa” o proteggere le industrie essenziali per la transizione energetica, i mercati emergenti sono pronti ad aggiudicarsi quote di made in China sempre maggiori.
È un quadro su cui è difficile fare previsioni, quello prospettato da Energy Transition Supply Chains 2025 il nuovo rapporto di BloombergNEF (BNEF). Il documento, pubblicato stamane, esamina lo stato della produzione globale di tecnologie energetiche “verdi”, dai moduli fotovoltaici alle turbine eoliche, passando per batterie ed elettrolizzatori. Ed evidenzia due grandi trend: uno di consolidamento e uno di mutamento.
La Cina domina gli investimenti nella produzione di tecnologie pulite
A consolidarsi è la posizione della Repubblica popolare. Il gigante asiatico rimane il centro produttivo globale in termini di volumi, avendo alimentato negli ultimi anni una sovrapproduzione che ha colpito tutti i segmenti chiave. E che ha innescato un’ondata di ribassi nei prezzi, mettendo a dura prova l’industria occidentale e i suoi profitti.
Se si escludono gli elettrolizzatori, dove l’Europa detiene ancora un primato industriale, oggi la Cina controlla oltre il 70% della capacità manifatturiera globale per le tecnologie sopracitate. Non solo.
Mentre nel 2024 molte realtà europee del settore fotovoltaico e delle batterie si sono trovate di fronte a chiusure, fallimenti e bancarotta, le imprese cinesi hanno consolidato le proprie quote di mercato nelle catene di fornitura di questi due segmenti.
Ovviamente tagli e perdita di profitto non sono mancati neppure nel paese asiatico. Tuttavia il mercato regionale ha retto decisamente meglio, come dimostrano i dati finanziari. La Cina, infatti risulta al primo anche nell’attrazione di nuovi capitali per fabbriche e siti produttivi. Catalizzando ben il 76% degli investimenti 2024. Come evidenziano gli analisti di BNEF, la spesa delle aziende cinesi nel mercato interno è cinque volte superiora a quelli di tutti gli altri Paesi messi insieme.
Questo trend di consolidamento porterà, secondo gli analisti, al mantenimento di una certa sovraccapacità produttiva almeno fino al 2027, soprattutto nel campo fotovoltaico e delle batterie.

Europa ed USA
Di passo contrario la tendenza che guida le importazioni. La nuova era protezionistica abbracciata da Stati Uniti ed Europea sta, infatti, mostrando i suoi primi effetti sull’import dei prodotti cinesi.
Da un lato il Vecchio Continente sta tentando di recuperare quel vantaggio perso con gli anni con nuove politiche a supporto della propria industria (vedi la legge Industria Net zero al Clean Industrial Deal). L’obiettivo è quello dell’onshoring, ossia riportare dentro i propri confini la produzione delle tecnologie pulite precedentemente delocalizzate. L’Unione Europea ha fissato obiettivi ambiziosi, peccato che dal lato economico i sussidi messi sul tavolo sia ancora pochi. Solo 32,5 miliardi di dollari, non sufficienti a proteggere davvero il comparto, oggi costretto a ridimensionarsi notevolmente.
Dall’altro lato ci sono gli USA con quello che fino a poco tempo sembrava il diretto rivale agli investimenti europei: l’Inflation Reduction Act (IRA) e i suoi generosi incentivi. Per BNEF i crediti d’imposta statunitensi sono destinati a fornire un sostegno superiore a qualsiasi altro programma nazionale di sussidi. Anche sommando tutti i “competitor” assieme. Tuttavia, i progressi potrebbero essere ostacolati dai recenti dazi imposti dall’amministrazione Trump sui materiali e le attrezzature di fabbricazione cinese utilizzati nel settore manifatturiero statunitense.
“Nonostante gli incentivi finanziari, i rischi politici negli Stati Uniti offuscano le prospettive di onshoring, mettendo a repentaglio 110 miliardi di dollari di fabbriche pianificate in diversi settori”, scrive l’associazione.
Nuove rotte commerciali
Se le economie avanzate danno priorità al protezionismo, i mercati in via di sviluppo stanno invece aprendo le porte e catalizzando una quota crescente di importazioni dalla Cina (dal 24% nel 2022 al 43% nel 2024).
“Quest’anno si è assistito a una rapida successione di cambiamenti repentini nei dazi sulle importazioni e nelle politiche industriali, costringendo le aziende ad adattarsi a un contesto in continua evoluzione”, ha affermato Antoine Vagneur-Jones, responsabile del settore commercio e catene di approvvigionamento di BNEF e autore principale del rapporto. “La situazione non si è ancora stabilizzata, ma alcune macro tendenze sono chiare: la sovraccapacità definirà le catene di approvvigionamento delle tecnologie pulite per gli anni a venire. E i mercati emergenti aumenteranno rapidamente le importazioni di prodotti per la transizione energetica, con l’ulteriore calo dei prezzi”.