Rinnovabili • Capacità globale carbone: +2% nel 2023, cresce anche senza la Cina Rinnovabili • Capacità globale carbone: +2% nel 2023, cresce anche senza la Cina

La Cina continua a finanziare carbone all’estero, nonostante le promesse

Un nuovo rapporto di Global Energy Monitor analizza il “doppio binario” della transizione energetica nei paesi BRICS: crescita record delle rinnovabili in Cina, India e Brasile, ma nuovi membri ancora fortemente orientati verso carbone, gas e petrolio. Spesso con il supporto diretto di Pechino

Capacità globale carbone: +2% nel 2023, cresce anche senza la Cina
Foto di Valeriy Kryukov su Unsplash

Nel 2021, il presidente cinese Xi Jinping aveva promesso di porre fine alla costruzione di nuove centrali a carbone all’estero. Ma a quattro anni di distanza, la realtà racconta un’altra storia. La Cina è ancora uno dei principali finanziatori globali di progetti fossili all’estero. E ha in mano buona parte della traiettoria della transizione energetica BRICS, in particolare nei paesi che hanno recentemente aderito al blocco delle economie emergenti.

I dati del nuovo rapporto pubblicato da Global Energy Monitor (GEM) parlano chiaro: nei 10 nuovi membri BRICS – tra cui Indonesia, Nigeria, Uzbekistan e Bolivia – sono in costruzione 25 gigawatt (GW) di nuova capacità da carbone, gas e petrolio. A fronte di appena 2,3 GW di impianti eolici e solari su scala industriale. E dietro oltre il 60% di questi progetti c’è la mano delle imprese statali cinesi, coinvolte come finanziatori o appaltatori principali.

Transizione energetica BRICS: FER in crescita, ma all’ombra del carbone

Il rapporto mostra come i membri storici del blocco – Brasile, India e Cina – siano oggi tra i leader mondiali per capacità installata di eolico e solare: tutti e 3 figurano tra i primi cinque (per l’eolico) e i primi sette (per il solare) paesi al mondo. Un’accelerazione che ha portato, per la prima volta, a far scendere la quota fossile della capacità elettrica complessiva dei BRICS sotto il 50% nel 2024.

Ma l’ampliamento del gruppo, annunciato dal Brasile a inizio 2025 durante la sua presidenza di turno, ha incluso paesi dove i combustibili fossili restano predominanti. Indonesia e Kazakhstan, ad esempio, figurano tra i primi 10 produttori ed esportatori mondiali di carbone, con settori elettrici ancora dominati da questa fonte. E quasi tutti i nuovi membri sono produttori di petrolio e gas, con progetti di espansione in corso.

La doppia traiettoria dei BRICS

Il quadro che emerge è quello di una transizione energetica BRICS a doppia velocità. Da un lato, i BRICS originari accelerano sulle rinnovabili. Dall’altro, i nuovi entrati rischiano di rimanere impantanati in un modello fossile, anche a causa degli investimenti infrastrutturali provenienti dalla Cina. GEM segnala che quasi il 90% dei progetti a carbone in costruzione nei nuovi membri è sostenuto da imprese statali cinesi, nonostante gli impegni presi da Pechino nel 2021 per porre fine al sostegno al carbone oltre confine.

La contraddizione è evidente anche sul fronte degli obiettivi climatici. Otto dei 10 nuovi membri hanno fissato obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 o 2070, e tutti e cinque i paesi che usano carbone per la generazione elettrica hanno dichiarato l’intenzione di eliminarlo. Tuttavia, secondo GEM, meno del 7% della capacità non fossile in sviluppo in questi paesi è effettivamente in costruzione, contro il 44% dei progetti a carbone e il 26% di quelli a gas e petrolio.

Occasione mancata? Per James Norman, autore del rapporto, il rischio c’è. “I membri storici dei BRICS hanno l’opportunità di mostrare leadership e trasferire il proprio know-how ai nuovi entrati. Invece, c’è il rischio concreto di spingerli sulla strada sbagliata, attraverso nuovi investimenti in carbone, gas e petrolio”, afferma.

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