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Budapest: apre i battenti l’affascinante House of Music di Fujimoto

Sou Fujimoto ha completato la House of Music di Budapest, arricchita da un suggestivo soffitto traforato, da migliaia di foglie dorate e dall'incredibile cupola sonora

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house of music – ©LIGET-BUDAPEST_Palkó-György by magyarzenehaza

La House of Music trova posto all’interno del maxi progetto di riqualificazione urbana Liget Budapest

(Rinnovabili.it) – All’interno del più ambizioso progetto di sviluppo culturale urbano d’Europa, il Liget Budapest project, ha aperto le porte da pochi giorni la House of Music firmata dall’architetto Sou Fujimoto.

Un progetto monumentale quello avviato da Budapest, che porterà alla valorizzazione del parco cittadino o Városliget arricchito dalle architetture uniche dei nuovi edifici riservati alla cultura tra i quali: il nuovo Museo Etnografico, l’Hungarian Museum Restoration Storage Centre e appunto la House of Music ungherese.

Cancellare il confine tra natura ed ambiente edificato

house of music - ©LIGET-BUDAPEST_Palkó-György by magyarzenehaza
house of music – ©LIGET-BUDAPEST_Palkó-György by magyarzenehaza

A firmare il progetto della Casa della Musica è l’architetto Sou Fujimoto che aveva un compito non facile, dovendo collocare la nuova architettura nel cuore del centenario parco pubblico.

Ma l’attenzione nipponica del dettaglio non ha lasciato spazio a sbagli. La struttura ideata da Fujimoto cancella il confine tra natura e costruito. L’illusione è resa possibile dalla monumentale “tenda di vetro” che abbraccia l’edificio al posto dei convenzionali muri di mattoni.

La facciata è composta da ben 94 pannelli di vetro igrotermico che in alcuni punti raggiungono addirittura i 12 metri d’altezza.

Un soffitto dalle mille foglie dorate

house of music – ©LIGET-BUDAPEST_Mohai-Balázs by magyarzenehaza

La sensazione di essere immersi nella natura pur restando all’interno dell’edificio è ulteriormente accentuata dal particolarissimo soffitto della House of Music. Oltre 30.000 lastre dorate ritagliate a forma di foglia, rivestono il controsoffitto dell’edificio, generando un gioco di luci incredibile ed evocando la sensazione di trovarsi all’interno di una foresta.

Lasciare spazio alla natura

house of music – ©LIGET-BUDAPEST_Mohai-Balázs by magyarzenehaza

Ad illuminare gli interni di luce naturale ci pensano i 100 fori incastonati nel tetto dell’edificio, alcuni dei quali lascino spazio per crescere agli alberi preesistenti.

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Così come le foglie del soffitto, anche i fori sono dipinti in color oro traslucido, massimizzando la luce diffusa all’interno dell’architettura.

La cupola emisferica crea ologramma sonori

house of music - ©LIGET-BUDAPEST_Palkó-György by magyarzenehaza
house of music – ©LIGET-BUDAPEST_Palkó-György by magyarzenehaza

I 9.000 mq di superficie si articolano in tre livelli. Il piano sotterraneo è riservato alla particolarissima cupola sonora emisferica ispirata alla sala concerti realizzata da Karlheinz Stockhausen per l’Esposizione Universale del 1970. La cupola sonora può ospitare fino a 60 spettatori immersi completamente nella musica a 360 gradi, grazie i 31 altoparlanti che trasmettono i suoni in ogni direzione, creando un effetto simile ad un “ologramma sonoro”.

Soluzioni tecnologiche sostenibili

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credits: ©LIGET-BUDAPEST_Palkó-György

L’attenzione all’ambiente non può precludere l’attenzione alla sostenibilità. Nel progetto della House of Music ungherese, sono state installate 120 pompe di calore poste a 100 metri di profondità per fornire energia geotermica all’edifico, mentre la restante richiesta di energia elettrica proviene da energia rinnovabile. Il sistema di raffrescamento è altrettanto interessante: si tratta di un sistema a lunga distanza che in estate cattura energia dalla capacità in eccesso della vicina pista di pattinaggio su ghiaccio. Il progetto ha raggiunto ottimi livelli di certificazione BREEAM.

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About Author / Alessia Bardi

Si è laureata al Politecnico di Milano inaugurando il primo corso di Architettura Ambientale della Facoltà. L’interesse verso la sostenibilità in tutte le sue forme è poi proseguito portandola per la tesi fino in India, Uganda e Galizia. Parallelamente alla carriera di Architetto ha avuto l’opportunità di collaborare con il quotidiano Rinnovabili.it scrivendo proprio di ciò che più l’appassiona. Una collaborazione che dura tutt’oggi come coordinatrice delle sezioni Greenbuilding e Smart City. Portando avanti la sua passione per l’arte, l’innovazione ed il disegno ha inoltre collaborato con un team creativo realizzando una linea di gioielli stampati in 3D.


Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.