Rinnovabili • Heura

Heura, la rivoluzione mediterranea arriva nel piatto

La startup spagnola Heura sta riscuotendo enorme successo in Europa. Ha messo a punto un nuovo sistema per produrre “carne” interamente vegetale a base di legumi ad alto contenuto proteico e privi di OGM. In questo modo si utilizzano direttamente le strutture naturali dei vegetali minimizzando gli sprechi

Heura

di Isabella Ceccarini

Prodotti vegetali al 100% e mediterranei al 100%. Con Heura arriva la rivoluzione mediterranea nel piatto?  A giudicare dal consenso crescente che la startup spagnola Heura sta riscuotendo in Europa le premesse ci sono tutte. Attualmente Heura è presente in più di 13mila punti vendita in 20 Paesi.

Attivisti alimentari

L’idea è venuta a due ragazzi, Marc Coloma e Bernat Añaños, che si definiscono attivisti alimentari. Nel 2017 hanno fondato Heura, specializzata nella produzione di “carne” di origine vegetale.

O meglio sembra carne, ma di carne non ce n’è nemmeno l’ombra: partendo dalla cucina di ispirazione mediterranea hanno creato prodotti interamente vegetali a base di legumi ad alto contenuto proteico e privi di OGM.

Come attivisti alimentari, infatti, l’obiettivo di Marc e Bernat è superare il principio dell’alimentazione basata sulle proteine di origine animale.

Il loro intendimento è portare le persone ad essere parte attiva del cambiamento attraverso l’alimentazione: i prodotti Heura permettono di ridurre il consumo di acqua e le emissioni di CO2 e di risparmiare le risorse naturali destinate a nutrire gli animali.

Un metodo di produzione innovativo

Il metodo di lavorazione degli alimenti sviluppato da Heura prevede di impiegare le parti di vegetali che attualmente non sono utilizzate nei metodi di produzione tradizionale.

Con il metodo Global Rebel Tech è possibile produrre alimenti a base vegetale nutrienti e sostenibili utilizzando direttamente le strutture naturali dei vegetali.

La lavorazione prevede di macinare i legumi fino a ridurli farina, che si mescola con l’acqua (la quantità di acqua cambia a seconda del prodotto finale da ottenere). Il composto è poi a lasciato marinare con ingredienti mediterranei (olio extravergine d’oliva, timo, basilico, etc.).

Tra gli altri ingredienti figurano: metilcellulosa (cellulosa di origine vegetale che conferisce la consistenza carnosa), vitamina B12 e ferro (da assumere se non si consumano carne), estratto di lievito (che esalta il sapore e la succosità), destrosio (che conferisce il tocco croccante).

Con Heura diminuiscono i rifiuti di produzione

Il progetto di Heura è interessante anche perché permette di diminuire gli sprechi derivati dai processi di produzione di alimenti a base vegetale grazie a processi semplificati e a basso consumo di energia.

Vale la pensa ricordare che ogni anno, a livello globale, i processi di produzione dell’industria alimentare generano 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti.

«Invece di concentrarci sull’estrazione e l’isolamento delle proteine dai semi dei legumi, stiamo cercando modi per sfruttare la funzionalità delle piante nella loro interezza partendo dalle loro strutture naturali.

Questo approccio inedito si traduce in processi unicamente fisici che sono necessari durante la fabbricazione del prodotto, evitando tutti i processi chimici», spiega Isabel Fernández, direttore scientifico e tecnologico di Heura.

«Diversi settori, dall’energia ai trasporti, hanno dovuto attraversare transizioni tecnologiche importanti per rafforzare la sostenibilità. Ora è il turno dell’industria alimentare.

Abbiamo dato vita a Good Rebel Tech per segnare la strada all’industria alimentare affinché, grazie a tecnologie a basso impatto ambientale, l’uso della carne animale lasci il posto a soluzioni più sostenibili e nutrienti di quanto è stato fatto finora», ha detto Marc Coloma, CEO e co-fondatore di Heura illustrandone gli obiettivi.

Resta da chiedersi se i prodotti Heura siano appetitosi. Sembrerebbe proprio di sì, a giudicare da questo blind test effettuato con un gruppo di bambini.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.