Lo stato di salute dei grandi fiumi del mondo non è buono. La causa, oltre l’inquinamento, è la troppa frammentazione a cause degli investimenti nell’idroelettrico
Dighe e bacini artificiali intercettano il 35% del flusso dei fiumi, intrappolando più di 100 milioni di tonnellate di sedimenti ricchi di nutrienti che potrebbero arricchire invece le zone dei delta e le coste. Alcuni grandi corsi d’acqua sono stati così pesantemente modificati dall’intervento antropico da non raggiungere più, per gran parte dell’anno, lo sbocco al mare. Accade ad esempio per il Nilo, l’Indo e il Colorado.
La fauna acquatica ha avuto pochissimo tempo per adattarsi al cambiamento, che, combinato all’inquinamento e al degrado degli habitat, ha spinto numerose specie sul ciglio dell’estinzione, o addirittura oltre. In Nord America il 40% delle specie di pesci d’acqua dolce si trovano a rischio, e negli ultimi vent’anni il numero è raddoppiato, passando da 350 a 700.
Alla luce di questi trend ha deciso di muoversi International Rivers, una organizzazione no profit impegnata nella protezione dei fiumi con sede a Berkeley, in California. Ha sviluppato uno strumento informativo on line che si chiama State of the World’s Rivers e fornisce un i risultati di un check up dei 50 principali bacini fluviali del pianeta.
Lo strumento raggruppa gli indicatori di salute dei fiumi in tre categorie: frammentazione del flusso, biodiversità e qualità dell’acqua. Stando a questi parametri, i corsi d’acqua che più si trovano a mal partito – e cioè che presentano una maggior frammentazione del flusso e una peggiore qualità dell’acqua – sono il Danubio, l’Indo, il Godavari, Tigri ed Eufrate, Volta e Fiume Giallo. Sono censiti anche i più importanti da salvaguardare, perché ancora presentano un buon livello di biodiversità, una qualità dell’acqua ancora non compromessa e un basso livello di frammentazione. Si tratta di Rio delle Amazzoni, Congo, Mekong, Orinoco, Paranà, Tocantins, Yangze e Zambezi.
I rischi che anche questi subiscano il peso dell’impronta dell’uomo sono alti: entro il 2050 nel Sud del mondo si pianifica di raddoppiare la generazione idroelettrica, che significa costruire 9 mila nuove dighe.
Nonostante siano indubbi i benefici generati dall’interruzione dei fiumi, se messi a sistema con il costo totale il bilancio non è positivo. Non si tratta, infatti, di tenere in conto soltanto gli aspetti economici, ma anche l’impatto ecologico e il danno sociale. Circa 40-80 milioni di persone, la maggior parte poveri, sono stati scacciati dalle loro case dall’arrivo delle dighe. Spesso senza nemmeno ricevere compensazioni o un ricollocamento. Secondo uno studio del 2010, sarebbero mezzo miliardo gli individui che vivono a valle delle dighe i quali hanno subito dei danni dall’avvento dei giganteschi argini sopra le loro teste.