L'UE fatica a monitorare l’inquinamento marino e a risalire alla fonte. I controlli sono inadeguati e le sanzioni, troppo blande, vengono comminate raramente. L'analisi della Corte dei Conti UE

Il 75% dei mari UE mostra segnali di inquinamento da rifiuti marini a livello critico. Mentre l’80% delle acque è toccata da contaminazione da sostanze chimiche. Un declino ambientale, quello delle coste e dei mari europee, che origina dall’inquinamento marino da navi. Cargo, traghetti, pescherecci e imbarcazioni da diporto oggi sono soggetti a più norme che in passato. Ma queste leggi non sono abbastanza efficaci. Bruxelles fatica a monitorare l’inquinamento e a risalire alle sue fonti.
Tante leggi, pochi risultati
Lo afferma la Corte dei Conti europea (ECA) in una relazione pubblicata il 4 marzo sullo stato dell’inquinamento marino da navi in UE. Il messaggio di fondo è uno solo: tante leggi, pochi risultati concreti. C’è un gap crescente tra la qualità delle leggi che regolano l’inquinamento marino da navi – spesso su standard più avanzati di quelli internazionali – e il reale rispetto di queste norme.
Il sistema di regole per la protezione dei mari europei poggia su due pilastri: le convenzioni dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO), come il trattato MARPOL sulla prevenzione dell’inquinamento, e il corpus legislativo UE. Dal 2014 al 2023, Bruxelles ha investito oltre 216 milioni di euro in progetti per impianti portuali di raccolta rifiuti e tecnologie anti-inquinamento.
Contraddizioni strutturali sull’inquinamento marino da navi in UE
Tuttavia, l’audit dell’ECA rivela contraddizioni strutturali. Mentre il pacchetto sicurezza marittima 2023 inasprisce i controlli sulle emissioni di zolfo e sui relitti navali, restano scappatoie legali. Il 50% delle navi in demolizione evade gli obblighi di riciclo sostenibile cambiando bandiera prima dello smantellamento.
Analogamente, le perdite di container in mare – fenomeno in crescita con l’aumento del traffico – rimangono un “buco nero” statistico: non esiste un sistema obbligatorio per segnalare tutti gli incidenti, e meno dell’1% dei contenitori persi viene recuperato.
Quando poi dati e segnalazioni coprono bene il fenomeno, è la risposta degli Stati a essere carente. Un esempio? Il servizio satellitare CleanSeaNet dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA). Una tecnologia d’avanguardia capace di identificare potenziali sversamenti petroliferi con precisione di 20 metri. Tra il 2022 e il 2023, il sistema ha generato 7.731 allerte, concentrate soprattutto in Spagna (1.462), Grecia (1.367) e Italia (1.188). Ma i paesi membri hanno verificato solo il 45% di queste segnalazioni, confermando casi reali di inquinamento appena nel 7% dei casi.
Eppure, stando alla direttiva sul controllo dello Stato di approdo (PSC), ogni anno i paesi UE costieri dovrebbero ispezionare il 25% delle navi ad alto rischio e il 5% di quelle a basso rischio. Anche qui, la disamina dell’ECA è impietosa: tra 2019 e 2023, 11 dei 22 paesi UE non hanno mai raggiunto queste soglie.
E ancora: le sanzioni per gli sversamenti illegali variano in modo insensato. In alcuni paesi una violazione costa meno del prezzo di un biglietto ferroviario internazionale, mentre altri applicano multe fino a 500mila euro.
Il caso delle reti da pesca abusive è emblematico. Nonostante l’obbligo di recupero introdotto nel 2021, solo 6 paesi membri hanno sanzionato i comandanti per attrezzature abbandonate. Questo fallimento operativo ha conseguenze dirette: il 27% dei rifiuti marini nel Mediterraneo proviene da attività di pesca, secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente.
Cambiare rotta per rispettare gli obiettivi “inquinamento zero” al 2030
La Corte dei Conti avanza 4 proposte concrete per rendere più efficace la prevenzione e il contrasto dell’inquinamento marino da navi in UE:
- digitalizzazione delle procedure per ridurre i tempi di intervento dopo le allerte satellitari;
- armonizzazione delle sanzioni con minimi europei commisurati al danno ambientale;
- mappatura unificata dei fondi UE, con indicatori di risultato misurabili;
- sistemi di tracciabilità per collegare i rifiuti marini alle navi responsabili, ispirati al modello di successo dell’EPR (Extended Producer Responsibility) già usato per la plastica.