Rinnovabili •

Biciclette nei bunker antiaerei, quando pedalare salvava la vita

Gli antenati dei nostri bici-generatori vengono dai bunker della II Guerra mondiale, dove pedalare significava poter garantire la continuità dei sistemi di aerazione e ventilazione

Biciclette nei bunker antiaerei, quando pedalare salvava la vitaPedalare è sicuramente un modo ecologico di vivere, per altro sempre più diffuso nelle nostre città inquinate, ma c’è stato un recente passato nel quale spingere sui pedali era una vera necessità di sopravvivenza e significava non morire. È stato durante la seconda guerra mondiale, quando in alcuni bunker e ricoveri antiaerei vennero installate delle preziose “biciclette”. Il loro scopo era quello di garantire la continuità del funzionamento dei sistemi di aerazione e ventilazione dei locali sotterranei blindati – con l’immissione di ossigeno e l’espulsione dell’anidride carbonica – anche quando si fosse malauguratamente interrotta la fornitura di corrente elettrica (cosa che avveniva spesso durante i bombardamenti).

 

In condizioni normali, infatti, i sistemi di aerazione venivano azionati da un motore; ma in assenza di energia esterna si doveva sfruttare inevitabilmente la forza fisica delle persone che erano presenti in quel momento nel ricovero. Furono così approntati alcuni sistemi a “propulsione umana”, a loro modo “rinnovabili” seppure alimentati solo dall’adrenalina pura che veniva prodotta dalla paura. In alcuni casi si trattava di semplici manovelle da girare a mano, in altri di una sorta di “cyclette” singole o persino, nei locali con superficie più ampia, di tandem. Spesso questi ultimi venivano posizionati in coppia, per suddividere tra più persone lo sforzo necessario che avrebbe potuto essere anche prolungato.

 

bicieur1Le “biciclette” dunque, tranne rare eccezioni, non erano collegate ad una dinamo per la produzione di corrente elettrica, ma servivano ad azionare il ventilatore che manteneva in movimento il flusso d’aria. In caso di black-out, infatti, era di maggiore importanza garantire la fornitura di ossigeno rispetto all’illuminazione (che poteva essere assicurata con alimentazione a batteria). I sistemi di aerazione per ricoveri e bunker con protezione antigas potevano essere realizzati in due modi: con rifornimento d’aria presa pura dall’esterno o resa tale con trattamenti fisico-chimici (“filtranti”); o con il ricircolo dell’aria presente nel ricovero con la sua depurazione e il supporto di bombole di ossigeno (“ermetici”).

 

In Italia sono stati riscoperti e documentati dai ricercatori del sito Bunkerdiroma.it, con la collaborazione di altri studiosi e associazioni di appassionati, una dozzina di sistemi di aerazione con “biciclette”. Di particolare interesse sono i due tandem presenti a Roma nel Bunker di Palazzo Uffici all’Eur, così come quelli sopravvissuti nei Rifugi antiaerei milanesi in via Antonio Tanzi (Ex Innocenti), Palazzo Diotti (“Torre delle Sirene”) e viale della Moscova. Altre bici in buono stato sono segnalate a Rovigo (Rifugio del Catasto) e Bolzano (Rifugio di piazza Matteotti). Completano la panoramica i sistemi di aerazione conservati a Torino e Verona (con bici in restauro); mentre restano solo labili tracce delle biciclette un tempo presenti a Genova, Gardone Riviera (BS) e Dalmine (BG).

 

bicieur2La gran parte dei sistemi con “bicicletta” furono realizzati tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 dalla Società Anonima Bergomi di Milano, che li definiva nel suo catalogo come “elettroventilatori a pedaliere”. Sostanzialmente erano composti da un telaio con sellino e pedali, mentre il movimento veniva trasmesso con un moltiplicatore di velocità agli ingranaggi racchiusi in una custodia stagna insieme al ventilatore. Oltre alla parte ciclistica, i sistemi si completavano con tubazioni e deviatori per selezionare le diverse funzionalità. Vi erano, infine, i “flussimetri” per misurare (in metri cubi/ora) il livello di ricambio dell’aria e sapere quando era completo o se era il caso di rimettersi subito a pedalare.

 

di Lorenzo Grassi, curatore del sito www.bunkerdiroma.it

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.