Ecodesign attraverso il recupero di scarti agroalimentari

Cosa è l’elettrofilatura? Che ruolo ha nella nuova bioeconomia circolare? E come può contribuire all’innovazione dei cicli di produzione e consumo? Lo spiega Antonella Macagnano, primo ricercatore presso il CNR-IIA e responsabile scientifico dei laboratori di sensoristica avanzata

Contenuto realizzato nell’ambito del progetto CNR 4 Elements

Elettrofilatura
via depositphotos.com

 di Massimo Mari 

Le soluzioni proposte dall’IIA si caratterizzano per un approccio trasversale e sistemico, indispensabile per affrontare una questione così complessa come la transizione ecologica, mostrandosi funzionali al conseguimento degli obiettivi europei in materia di gestione dei rifiuti e di economia circolare. In Italia, i maggiori sforzi dovrebbero concentrarsi sulle attività volte alla prevenzione del rifiuto nella fase di ideazione e progettazione del prodotto, attraverso il c.d. eco-design, realizzato sostituendo l’utilizzo di materiali tradizionali, caratterizzati da forti impatti ambientali e da problematiche dovute alla crescente scarsità di risorse, con elementi ricavati da scarti di origine biologica.

Importanti linee di ricerca dell’IIA, condotte nei laboratori di sensoristica avanzata, si sono concentrate sull’implementazione di progetti di “bioeconomia circolare” che, grazie all’utilizzo della tecnologia dell’elettrofilatura (EF), possano permettere la rivalutazione di diverse tipologie di scarti di origine agroalimentare ai fini di un loro reinserimento nei cicli di produttivi. I progetti di ricerca in questione, mirano a conseguire un duplice obiettivo, in termini di circolarità: 1) la prevenzione di rifiuti altamente inquinanti (attraverso l’ecodesign in progettazione sarà possibile evitare la produzione di rifiuti inquinanti (es. plastici) dovuti al fine vita dei prodotti/componenti di tipo tradizionale che saranno sostituiti); 2) il recupero, dunque l’upcycling, di scarti agroalimentari, da reinserire nel ciclo produttivo, con conseguenti vantaggi ambientali ed economici.

Waste is just a resource in the wrong hands” (Oliver W. Ball, CEO Goldfinger) è esattamente il principio a cui si ispira la Dott.ssa Antonella Macagnano, primo ricercatore dell’IIA e responsabile scientifico dei laboratori di sensoristica avanzata. Antonella è promotrice di diverse proposte progettuali in materia di bioeconomia circolare, incentrate sullo sfruttamento della tecnologia dell’EF per il recupero di scarti agroalimentari. Antonella lavora nel CNR dal 2001 ed è autrice di più di cento pubblicazioni su riviste scientifiche dedicate principalmente allo sviluppo di sensori e materiali intelligenti per sistemi ecosostenibili. “La ricerca nasce inevitabilmente dalla necessità di comprendere definite problematiche valutando possibili soluzioni!” – spiega mentre ci rechiamo nei laboratori per l’intervista. “Attualmente l’approccio per la gestione della crisi climatica sembra focalizzarsi essenzialmente sulla transizione energetica, contemplando misure che coinvolgono soltanto il 55% delle emissioni”.

Quali sono le soluzioni a cui state lavorando? 

Il laboratorio di cui sono responsabile è principalmente adibito allo studio e al monitoraggio di inquinanti atmosferici, con la progettazione e lo sviluppo di sensori e di materiali multifunzionali. Si parte dalla necessità di sviluppare sensori dedicati al monitoraggio di vaste aree, per permetterne la mappatura in situ e real time. I sensori devono essere economici, senza rappresentare essi stessi un’ulteriore fonte di inquinamento. Per questo, oltre a lavorare su un’elettronica a basso impatto ambientale, si è cominciato a sviluppare sensori da materiali biodegradabili di scarto, che potessero svolgere la loro funzione fino al proprio “fine vita”, senza criticità di smaltimento.

Nell’attuale contesto di transizione economica, ho deciso di focalizzare l’utilizzo della tecnologia dell’EF sul recupero di scarti e la loro trasformazione in materiali “intelligenti” da utilizzare nel campo della sensoristica o per numerose altre applicazioni. L’EF, a valle di un semplice pretrattamento, permette il processamento di molteplici tipologie di scarto e la loro trasformazione in nuovi prodotti che, a secondo delle componenti bioattive utilizzate, presentano varie funzionalità e dunque possono trovare il proprio sbocco di mercato in diversi settori (tessile; agricolo; biomedicale; energetico; packaging). Il recupero di polimeri naturali permette, attraverso l’EF, la progettazione e lo sviluppo di nuovi materiali. Questo approccio è in linea con il principio base che regola gli ecosistemi naturali, dove tutto ciò che è scartato si trasforma in una nuova risorsa, innescando un circuito virtuoso in grado di autoalimentarsi. Questo è il laboratorio di “sensoristica avanzata”: un laboratorio pieno di scarti e dunque di nuove potenziali risorse.

Come l’elettrofilatura può contribuire all’innovazione dei cicli di produzione e consumo?

Attraverso l’introduzione di prodotti e componenti ecocompatibili, nel nostro caso realizzati partendo da rifiuti agroalimentari/agroforestali, che possono garantire la sostituzione di prodotti e componenti di tipo tradizionale (es. plastici), altamente impattanti specie nel loro fine vita. Si tratta del c.d. “ecodesign” in progettazione, attraverso cui è possibile favorire la prevenzione dei rifiuti. 

Quali sono i vantaggi dell’EF?

La tecnica di base permette di modificare e/o creare legami tra polimeri naturali, attraverso l’impiego di un campo elettrico e riorganizzandoli in nuove architetture. L’elettrofilatura è un’efficace tecnologia, utilizzata sia nella ricerca che a livello industriale, per la produzione di fibre con diametri che, a seconda dei materiali usati e dai parametri di deposizione, variano da pochi micron a pochi nanometri. Si tratta di un processo versatile che permette lo sviluppo di fibre a partire da materiali polimerici allo stato fluido, spesso disciolti in opportuni solventi. La soluzione di partenza può essere arricchita da particelle in grado di modificare sia le proprietà strutturali che funzionali del prodotto finale. L’applicazione di un potenziale elettrico tra un emettitore (generalmente metallico) e un collettore (generalmente a massa o a potenziale negativo) produce l’emissione e il rapido allungamento della soluzione fino ad arrivare allo stato solido (fibre su un substrato fisso o mobile in strutture 2D e 3D, per realizzare un prodotto anche di decine di metri). 

La tecnica dell’EF richiede una strumentazione abbastanza semplice. I fenomeni che ne governano il processo dipendono, tuttavia, da un complesso sistema di variabili e fattori spesso interconnessi fra loro (parametri della soluzione polimerica, condizioni di processo e ambientali) il cui controllo permette di progettare e funzionalizzare il prodotto finale. La tecnica è molto rapida e permette di ottenere un campione già secco (senza la presenza di solvente), evitando successivi e costosi processi di essiccazione. I materiali elettrofilati offrono vantaggi di tipo sia strutturale (rapporto superficie-volume, livello di porosità e altre proprietà fisiche modulabili) che funzionale (capacità di carico e stabilità delle molecole bioattive).

Quali scarti vengono trattati? 

Attualmente nel nostro laboratorio ci stiamo occupando solo di alcune tipologie di scarti in funzione delle collaborazioni in atto con altri centri di ricerca e realtà industriali nonché delle disponibilità di scarti, ma le potenzialità di tale tecnologia sono vaste e riguardano diverse filiere. La selezione degli scarti da processare con EF è condotta in base al livello di criticità rilevata in termini di smaltimento del rifiuto scelto (presenza di una non adeguata filiera di gestione) nonché considerando la rilevanza delle proprietà delle componenti bioattive dello scarto.  

Abbiamo recentemente avviato collaborazioni con l’Università della Tuscia (DIBAF), il CREA, l’Università Federico II (DICMAPI) ed alcuni Istituti del CNR, creando consorzi trasversali e interdisciplinari per lo sviluppo di progetti nazionali volti alla prevenzione dei rifiuti ed al recupero di scarti ortofrutticoli. Con i colleghi del CNR di Bari (ISPA) è stata avviata una collaborazione per il recupero di proteine elettrofilabili da scarti lattiero-caseari. Con l’Università di Siena (DBCF) ed il Cluster BIG è nata una proposta progettuale per lo sfruttamento di alghe infestanti e lo sviluppo di sensori chimici nanostrutturati indossabili. 

Quali sono gli output finali e le possibili applicazioni?

Prodotti ecocompatibili che, nel loro fine vita, non produrranno alcuna criticità relativa alla loro gestione o smaltimento. In relazione alle applicazioni, attualmente ci stiamo dedicando allo sviluppo di materiali eco-friendly chimicamente attivi per il monitoraggio di composti gassosi in vari ambiti. Le potenziali applicazioni sono molteplici, essendo possibile selezionare gli scarti da trattare e progettare i materiali in funzione delle applicazioni finali.

Quali sinergie si rilevano con i settori afferenti alla bioeconomia?

Le proposte progettuali descritte mirano a favorire la crescita dei settori afferenti alla bioeconomia. L’innovazione del settore primario e la crescita della bioeconomia sono strategiche per assicurare la necessaria tutela del patrimonio naturale nazionale e per permettere una reale transizione economica verso sistemi economici produttivi ecocompatibili.

di Massimo Mari, CNR-IIA

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