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Scaroni: dalla ricerca e dall’innovazione il nostro futuro

Per l’AD dell’ENI le rinnovabili sono ancora troppo costose e inefficienti. Per Nicolais i ricercatori debbono essere sempre più “con la testa nel mondo”

Scaroni: dalla ricerca e dall’innovazione il nostro futuro

Una rinnovata partnership per lo sviluppo di progetti di ricerca incentrati sulla produzione di energia in modo sostenibile, sulla salvaguardia ambientale e sulla sperimentazione di nuove tecnologie, capaci di creare un portafoglio di soluzioni innovative di importanza strategica per il sistema italiano ed europeo.

E’ l’obbiettivo dell’Accordo Quadro di collaborazione, rinnovato ieri fra l’ENI e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, dopo che la collaborazione scientifica  fra il colosso petrolifero italiano e il più grande Ente di ricerca in Italia, avviata nel 2009, ha prodotto apprezzabili risultati in vari settori.

 

“Con l’importante accordo  con il CNR diamo impulso ad una collaborazione che è uno dei pilastri del nostro sforzo nella ricerca scientifica”, ha spiegato l’Amministratore Delegato di ENI, Paolo Scaroni, nel corso del Workshop Eni – CNR svoltosi a Roma al quale hanno partecipato, oltre al Presidente del CNR, Luigi Nicolais, il Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) Giovanni Bignami, e il Professor Peter Wadhams, della Cambridge University. “Nel settore energetico – ha aggiunto l’AD di Eni – la ricerca è fondamentale per un duplice motivo: da un lato, per dare risposte al crescente fabbisogno di energia del pianeta; dall’altro, per rispondere alla sfida di coniugare sviluppo dell’energia  – da fornire ai nostri clienti nel modo più economico possibile – e minor impatto ambientale”.

 

Convinto del ruolo strategico giocato dalla ricerca scientifica e dall’innovazione tecnologica, sviluppate sia nelle aree del core business di Eni (quali l’esplorazione e la produzione di idrocarburi), sia nell’ambito delle fonti di energia non convenzionali, Scaroni ha tuttavia ribadito le proprie  riserve sulle rinnovabili. “Faccio parte della schiera di coloro  che  pensano che le rinnovabili, come le conosciamo oggi,  siano un problema e non la soluzione. Le rinnovabili che oggi utilizziamo, in particolare eolico e solare, hanno un costo  esorbitante: il 18% della bolletta, che va  sotto la voce A3,  sono in larga parte  soldi destinati ai sussidi per rinnovabili costose e inefficienti”.Tutto  ciò non significa che io sia contro le rinnovabili – ha subito chiarito l’AD di ENI – Penso però che abbiano due gravi limiti: sono costose e intermittenti. Inoltre presentano il problema della conservazione. Non si può  parlare di rinnovabili senza risolvere il problema dello stoccaggio”. Per individuare una soluzione sul piano dei costi, l’Eni ha avviato un importante progetto di ricerca per la produzione di energia fotovoltaica dal sole senza il silicio, ma utilizzando polimeri i cui rendimenti sono in fase di progressivo miglioramento. Rispetto invece al tema della conservazione delle energie rinnovabili, è in fase di lancio un progetto di ricerca sulle batterie, per ottenerne   di “efficaci e poco costose” perché – avverte Scaroni –  soltanto quando sarà possibile accumulare questo tipo di energia, si potranno  sostituire gli idrocarburi, in un futuro non troppo lontano”.  

 

La leadership indiscussa a livello internazionale conquistata dalla compagnia petrolifera sia sul piano del know-how  nelle tecnologie di avanguardia, sia sul piano della produzione intellettuale – l’Eni è la compagnia petrolifera al mondo che ha più brevetti –  ha dimostrato che “l’investimento in ricerca è di gran lunga il più efficace e redditizio”. L’applicazione dei risultati della ricerca all’interno delle attività di Eni, fornisce non solo ritorni rilevanti in termini di reputazione e visibilità della società, ma anche benefici economici, con un ritorno di redditività pari a 4-5 volte la spesa annua in ricerca e sviluppo ( riferibile alle tecnologie  giunte a maturazione  negli ultimi cinque anni, ndr). “Dal 2005 al 2013 – ha spiegato l’AD – abbiamo investito oltre 2 miliardi di euro in ricerca e innovazione, prodotto oltre 500 brevetti,  il doppio del quinquennio precedente, con una domanda di nuovi brevetti che cresce”.   Grazie ai risultati conseguiti “abbiamo creato il nostro futuro”, ha aggiunto ancora Scaroni. L’esperienza  maturata nel settore imaging per  l’esplorazione di settori presale in particolari tipi di giacimenti (caratterizzati da una presenza di strati di sale profondi centinaia di metri che distorce la lettura delle immagini geologiche) ne è una prova. Tale tecnologia ha permesso recentemente alla compagnia di bandiera di individuare un giacimento in Congo, dopo oltre quarant’anni di ricerche vane condotte da altri colossi mondiali.

 

Scaroni: dalla ricerca e dall’innovazione il nostro futuroE’ sempre grazie alla ricerca e allo sviluppo continuo del know-how che l’Eni ha potuto conseguire  il risultato del Gasolio Milano, “un tipo di gasolio che consente di ridurre del 30% le emissioni di particolato, con migliori capacità di detonazione e minor rumore”.  O, ancora, riconvertire la raffineria di Porto Marghera in bioraffineria, con  un investimento di 130  Milioni di euro, dove ENI produrrà  gomme bio (pneumatici  che consentiranno una maggiore tenuta di strada e una riduzione dei consumi di carburante) dopo  che il  calo del 25% del consumo di benzina, nel 2013, rispetto al 2008,  aveva evidenziato che la capacità di raffinazione dell’impianto era largamente eccedente. E, ancora una volta, passano dalla ricerca e dall’innovazione tecnologica la realizzazione di un grande progetto di Chimica verde, con “un enorme investimento a Porto Torres, per produrre sacchetti di plastica biodegradabili, partendo dalla coltivazione di 40 ettari di terreno a cardo, che fornirà la materia prima” e, infine,  la scoperta, fatta insieme al CNR, che l’utilizzo di un certo tipo di girasoli serve a bonificare i terreni “ereditati dall’ENI” di vecchie aziende chimiche.

 

Se, dunque, ricerca e innovazione tecnologica rappresentano elementi decisivi nella strategia di medio-lungo termine della società,  la  crescita del know-how fa leva, come testimonia l’accordo quadro appena rinnovato fra ENI e CNR, sia sulle alleanze strategiche e le collaborazioni con Università e centri di eccellenza riconosciuti a livello internazionale, sia su un impegno considerevole di spesa.  Nel prossimo quadriennio Eni ha in programma di spendere circa 1,1 mld €  per le attività R&D, a cui sono dedicati oltre  mille addetti distribuiti in 5 centri di Ricerca. Tra le partnership più prestigiose  figurano, all’estero, l’alleanza strategica con il MIT Massachussetts Institute of Technology di Boston e con la Stanford University di Paolo Alto. In Italia, oltre che con il CNR, l’Eni ha sottoscritto accordi quadro per attività di ricerca e sviluppo con i Politecnici di Milano e Torino.

 

 

L’Accordo Quadro e le parole del Presidente Luigi Nicolais

Le attività previste dall’accordo coinvolgono tecnici e ricercatori Eni e CNR in un ampio programma di ricerca applicata su diversi ambiti, che riguarderà, fra le altre attività,  la sperimentazione di nuove tecniche per la caratterizzazione di giacimenti di idrocarburi, il monitoraggio ambientale finalizzato alla sostenibilità della produzione di petrolio e gas, soluzioni eco sostenibili per la mobilità e la salvaguardia ambientale, la sperimentazione di celle solari avanzate.

 

Parlando dell’accordo, il presidente del CNR, Luigi Nicolais, ha sottolineato la volontà del più grande ente di ricerca in Italia di giocare in squadra con il mondo accademico e produttivo, sul terreno delle nuove sfide. “Il CNR in questi anni è cambiato, ha cercato di interagire sempre più con le Università e con le imprese, per collaborare e condividere le nuove frontiere del sapere”.

Ma, ha sottolineato Nicolais, c’è bisogno di un cambio di prospettiva rispetto al passato. “Quando si parla di Green technology significa cambiare completamente  la condizione al contorno rispetto agli anni passati. Abbiamo imparato, con la nanotecnologia, che non possiamo progettare con i materiali esistenti, ma dobbiamo partire proprio dalla progettazione di nuovi materiali. Quello che chiedo ai nostri ricercatori è di non credere a ciò che è scritto sui libri, ma di andare oltre, con la loro creatività. Giulio Natta è il modello che vorrei indicare loro.  I nostri scienziati sono i più bravi al mondo, ma devono capire che il futuro è nel rischio”. L’Accordo ENI-CNR – ha concluso Nicolais – è molto importante per noi, perché ENI  è una grande azienda di successo nel mondo  e i nostri ricercatori devono  avere sempre più “la testa nel mondo”, devono pensare “out of the box”. Infine, il presidente del CNR  ha lanciato un invito alle pmi e alla loro capacità di rinnovarsi attraverso nuovo know-how: “Devono comprendere che senza innovazione e nuove conoscenze, non potranno essere più competitive” . 

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


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Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
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Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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