Rinnovabili • Investimenti a basse emissioni

Investimenti a basse emissioni: le aziende europee ci guadagnano

Calcolando il totale delle riduzioni di emissioni di 882 aziende europee (pari a circa 2,4 Gt di CO2 in meno), è possibile registrare un aumento del profitto di circa 40 miliardi di euro. Ma il vero guadagno è nella vendita di beni e servizi.

Investimenti a basse emissioni
Credits: Nattapol Sritongcom da 123rf.com

Un report di CDP Europe e Oliver Wyman mostra i benefici aziendali della transizione energetica.

 

(Rinnovabili.it) – Ridurre le emissioni di gas serra avrebbe un effetto positivo sui profitti delle aziende europee, che stanno iniziando a raccogliere i benefici degli investimenti a basse emissioni di carbonio. Questo è quanto mette in luce il report prodotto da CDP Europe, organizzazione che mira a diffondere buone pratiche di gestione del rischio climatico nel settore aziendale, in collaborazione con la società americana di consulenza aziendale Oliver Wyman.

 

Secondo il report, il calo dei costi tecnologici – se combinato al risparmio in termini di efficienza – significa che un’azienda europea media prevede di realizzare un profitto di +17 euro per ogni tonnellata di CO2 che riduce nella produzione di emissioni. Se si calcola il totale, equivalente a circa 2,4 Gt (gigatonnellate) di emissioni ridotte (calo previsto considerando gli investimenti nel corso del 2019), ciò equivale ad un utile di oltre 40 miliardi di euro.

 

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Leggendo il report, però, si scopre che opportunità ancora maggiori per le aziende si possono trovare nello sviluppo di soluzioni per aiutare i clienti a ridurre le emissioni. Le aziende europee, infatti, prevedono un totale di 1,2 miliardi di miliardi di euro di nuove opportunità di guadagno derivanti dalla vendita di beni e servizi a basse emissioni di carbonio, che costerebbero alle aziende ‘solo’ meno di 200 miliardi.

 

I risultati del rapporto sono emersi dall’analisi degli investimenti a basse emissioni di carbonio di 882 aziende europee. Queste aziende coprono il 76% della capitalizzazione del mercato europeo e sono la fonte di oltre 3 Gt di emissioni annuali, equivalenti a circa i 3/4 del totale dell’eurozona. Nel complesso, le aziende hanno segnalato 124 miliardi di euro di nuovi investimenti a basse emissioni di carbonio nel corso del 2019. Di questi, 59 miliardi sono stati spesi in conto capitale, mentre il resto è stato destinato alla ricerca e allo sviluppo di nuove tecnologie. Le aziende, infatti, stanno installando nuove tecnologie rinnovabili, costruendo infrastrutture verdi, acquistando veicoli a emissioni zero e aumentando l’efficienza dei loro processi di produzione e sistemi di distribuzione.

 

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Tuttavia, 59 miliardi di euro rappresentano la metà di quanto è necessario: per raggiungere le zero emissioni entro il 2050, CDP Europe e Oliver Wyman stimano che le spese in conto capitale per gli investimenti a basse emissioni di carbonio debbano raddoppiare, passando dal 12% al 25% del capitale totale investito. I dati sugli investimenti delle aziende, però, rivelano delle divergenze tra i diversi settori, che si trovano attualmente in fasi di transizione molto diverse.

 

Nel settore dell’energia, ad esempio, la trasformazione verso modelli a basse emissioni di carbonio è ben avviata.  Al contrario, la trasformazione del settore dei trasporti su strada è appena iniziata, anche se la ricerca e lo sviluppo delle aziende indicano che la direzione intrapresa è piuttosto chiara: il futuro sarà elettrico. Peggiore la situazione nel settore dei materiali, fonte di quasi il 40% delle emissioni tra il gruppo di aziende prese in esame nel report. In questo caso, la spesa per gli investimenti registrava solo un 5% per gli investimenti a basse emissioni di carbonio.

 

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C’è da dire, però, che la decarbonizzazione del settore dei materiali dipende dall’introduzione di tecnologie di cattura, riuso e stoccaggio di CO2 e dall’idrogeno: in entrambi i casi, si tratta di tecnologie costose, ad alta intensità di capitale e che richiederanno ingenti investimenti intersettoriali in nuove infrastrutture al fine di essere scalabili. Le loro prospettive sono anche avvolte nell’incertezza dovuta ai futuri prezzi del carbonio, alla domanda di materiali a zero emissioni e ai prezzi. Non a caso, nel 2019 le tecnologie di cattura, riuso e stoccaggio del carbonio hanno ricevuto circa lo 0,2% di tutti i nuovi investimenti e l’idrogeno solo lo 0,1%. Senza normative più severe per rafforzare la fiducia sui futuri prezzi del carbonio e la domanda di materiali a zero emissioni, è probabile che queste industrie rimangano bloccate nella fase di ricerca e sviluppo.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.