Lo sviluppo di una catena di approvvigionamento davvero indipendente dalla Cina potrebbe richiedere dai 10 ai 20 anni.

Firmato l’accordo tra Stati Uniti e Australia sulle terre rare
L’accordo tra Stati Uniti e Australia sulle terre rare ha lo scopo di spezzare il predominio di Pechino sulle forniture di minerali critici. Il Presidente statunitense Trump e il Primo Ministro australiano Albanese a inizio settimana hanno firmato un accordo dal valore storico proprio in questo campo. Per finalizzare l’intesa sono serviti cinque mesi di negoziati. L’obiettivo comune è ridurre la dipendenza dai Paesi concorrenti e creare catene di approvvigionamento resilienti e integrate.
L’idea di fondo è sostenere gli acquirenti statunitensi nel fare meno affidamento alle terre rare cinesi. Tuttavia, lo sviluppo di una catena di approvvigionamento davvero indipendente potrebbe richiedere dai 10 ai 20 anni, secondo quanto sostengono gli analisti.
Cosa prevede il nuovo accordo tra Stati Uniti e Australia sulle terre rare
Il nuovo accordo tra Washington e Canberra è un accordo quadro, utile a stabilire la cornice di una futura e più profonda collaborazione in materia di minerali critici. I due Paesi si sono quindi impegnati ad approfondire la cooperazione bilaterale e a salvaguardare le proprie risorse commerciali critiche dall’acquisizione straniera. Sono previsti meccanismi di sostegno dei prezzi e finanziamenti specifici per velocizzare lo sviluppo di progetti di estrazione, lavorazione e riciclo di materie prime prioritarie in entrambi gli Stati.
Nell’ambito di tale accordo, Stati Uniti e Australia si sono impegnati a investire entro 6 mesi almeno 1 miliardo di dollari in finanziamenti per progetti da realizzare sia negli Stati Uniti che in Australia. Gli investimenti servono a produrre prodotti finali da destinare agli acquirenti in entrambi i mercati. In estrema sintesi, l’accordo prevede una rapida iniezione di capitale necessaria ad assicurarsi i minerali che alimenteranno la prossima generazione di tecnologie per difesa, elettronica e transizione verde.
Sempre in base all’accordo, il Pentagono intende investire anche nella costruzione di una raffineria di gallio da 100 tonnellate metriche all’anno nell’Australia Occidentale. L’Export-Import Bank degli Stati Uniti, invece, sta emettendo lettere di manifestazione di interesse per oltre 2,2 miliardi di dollari di finanziamenti diretti a progetti di minerari critici.
Il quasi monopolio cinese sulle terre rare
A inizio ottobre la decisione del Governo di Pechino di rafforzare i controlli anche sulle esportazioni di magneti in terre rare e sulle materie prime necessarie per produrli non ha fatto che esacerbare lo scontro con Washington. Come risposta Trump ha minacciato dazi del 100% sui prodotti cinesi. L’accordo appena siglato con Canberra va inserito in questo contesto.
Attualmente, la Cina estrae circa il 70% delle terre rare mondiali e controlla più del 90% della produzione mondiale di terre rare raffinate, diventate una delle leve più potenti nella guerra commerciale in corso con gli Stati Uniti. All’inizio del 2025 la Cina ha imposto controlli senza precedenti alle esportazioni di minerali essenziali. Le restrizioni hanno scosso i merati e causato carenze in tutto il mondo, interrompendo le catene di approvvigionamento.
Perché l’Australia è così importante per gli USA per l’approvvigionamento di minerali essenziali?
L’Australia ha 89 progetti attivi di esplorazione di terre rare, superando Canada, Brasile e gli stessi Stati Uniti, come ha spiegato un’analisi del think tank Centre for Strategic and International Studies (CSIS). Il Paese è ricco di minerali e sta anche investendo tanto nella capacità di lavorazione. Nel 2024 è stata la destinazione principale per l’esplorazione di terre rare, attirando quasi il 45% degli investimenti globali, ha affermato ancora il CSIS.
L’Australia gode di tre vantaggi: riserve geologiche di livello mondiale, mercati dei capitali solidi e un capitale umano di grande valore, prosegue l’analisi. Il Paese è una “tavola periodica illuminata come un albero di Natale“. Ha le più ampie e ricche concentrazioni di risorse minerarie del pianeta. Non a caso ospita oltre 40 dei minerali identificati come essenziali dallo U.S. Geological Survey, un’agenzia del Dipartimento degli Interni USA.
Non solo, l’Australia si distingue anche per la competenza in ambito minerario. In base alla classifica QS World University Rankings del 2025, tre università australiane, University of New South Wales (2° posto), Curtin University (5° posto) e University of Queensland (6° posto) si classificano tra le prime sei al mondo per l’ingegneria mineraria.
La dipendenza USA dalla RPC per le importazioni di terre rare
Tra il 2020 e il 2023, gli Stati Uniti hanno importato dalla Cina il 70% di tutti i composti e metalli di terre rare, secondo un rapporto dell’US Geological Survey. Goldman Sachs stima che l’interruzione anche solo del 10% della produzione nei settori che dipendono da questi minerali potrebbe bruciare quasi 150 miliardi di dollari di prodotti statunitensi.
Almeno 10 anni per catene di approvvigionamento davvero indipendenti
Tuttavia, c’è un certo scetticismo riguardo alla possibilità che l’accordo possa davvero garantire una rapida inversione di tendenza nel processo di approvvigionamento di minerali essenziali per gli USA.
“Non credo che i problemi di approvvigionamento di terre rare possano essere risolti a breve termine, punto. La Cina è troppo avanti rispetto al resto del mondo“, ha commentato alla CNN John Mavrogenes, professore di geologia economica presso l’Australian National University. Inoltre, ci sono molte sfide da considerare, come il potenziale impatto ambientale. “Direi che ci vorrà un decennio (per raggiungere la capacità produttiva richiesta), anche se facessimo sul serio“, ha aggiunto Mavrogenes.
Anche Stuart Orr, preside esecutivo del Melbourne Institute of Technology, ha detto al giornale SCMP che le vendite tra Australia e Stati Uniti, nell’ambito dell’accordo quadro, si concretizzeranno in due anni. Una prima ondata riguarderà le miniere già esistenti. Ci vorranno poi almeno altri 10 anni per la seconda ondata, a seguito dell’entrata in funzione di nuovi impianti di produzione.
Anche Orr ha affermato che ci vorrà almeno un decennio perché gli Stati Uniti sviluppino una filiera di approvvigionamento stabile di minerali essenziali senza dipendere dalla Cina. Pini Althaus, CEO di Cove Capital, società statunitense di investimento, pensa, infine, che gli Stati Uniti potrebbero impiegare fino a 20 anni per raggiungere una “filiera di approvvigionamento completamente sicura e indipendente“.












