Utilizzare lo spreco di cibo per combattere la fame

In Pakistan tre studenti di economia hanno creato un sistema per salvare i più poveri dalla fame: utilizzare lo spreco di cibo che raccolgono e distribuirlo grazie ai sociale media e a un apposito modello di business sostenibile

Credits: https://www.pointsoflight.gov.uk/

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Huzaifa Ahmad è uno studente della Lahore University of Management Sciences-LUMS in Pakistan. È cresciuto vedendo che ogni giorno la madre accoglieva in casa i poveri e li sfamava con quello che aveva cucinato. Un giorno riflette sul paradosso di avere gente affamata da una parte e gente che butta il cibo dall’altra, ne parla con i suoi amici Qasim Javid Khan e Musa Aamir e decidono di passare all’azione. Il primo passo – spiega Brendan O’Malley su University World News – è stato creare una pagina Facebook postando una richiesta: «Chi ha cibo in eccesso ci contatti». Il post è diventato virale in un baleno, il problema era dove portare il cibo e come conservarlo. Il caso ha voluto che nella LUMS ci fosse un incubatore di imprese sociali, il Social Innovation Lab-SIL.

Il difetto del modello di beneficenza è quello di affidarsi a un leader carismatico, bisogna invece dargli una struttura affinché possa durare oltre l’impegno della singola persona. È quello che il SIL ha spiegato ai tre ragazzi, insegnando loro come affrontare in modo strutturato il problema della fame, dell’insicurezza alimentare e dello spreco alimentare. A quel punto si è cominciato a pensare in termini di sostenibilità, di modelli di business, di marketing. Ad esempio, perché raccogliere il cibo solo il sabato e la domenica? Huzaifa, Qasim e Musa dovevano sviluppare un modello che non facesse affidamento solo su di loro ma funzionasse anche quando erano al college e hanno dato un nome al progetto: Rizq, che in arabo significa provviste.

Il tam tam sui social media

Il primo “collaboratore” importante è stato un ristorante di Lahore che ha fornito loro il cibo in eccesso anziché buttarlo. L’esempio, divulgato sui social media, è stato seguito da molti, tanto da rendere necessario l’acquisto di un furgone  – riconoscibile dallo slogan “Non sprecare, condividi il cibo” – per il recupero e la consegna del cibo ai più poveri di Lahore.

Forti degli studi in economia, i ragazzi hanno cominciato a mappare le aree di povertà della città e quelle dove invece è possibile reperire cibo in eccesso. Studiando i modelli globali e le reti di banche alimentari si sono resi conto che in Pakistan non ce n’erano, allora hanno creato il primo banco alimentare nella comunità dove portavano il cibo recuperato. Poi è seguito un programma per le mense scolastiche in zone svantaggiate e un altro per identificare le famiglie in difficoltà e procurare loro scorte di cibo a metà prezzo. La sostenibilità economica è arrivata addebitando un costo ai ristoranti (liberarli delle eccedenze significa liberarli dei rifiuti, quindi è un servizio) e alle ONG che distribuiscono il cibo a 1.200 famiglie ogni mese.

Cambiare i giovani per cambiare la società

Il Covid-19 ha dato una spinta ulteriore al progetto, che ha acquisito una dimensione nazionale è si è diffuso in altre città del Pakistan. Tanto impegno contro lo spreco alimentare e la fame è stato premiato dalla regina Elisabetta II con il Commonwealth Points of Light Award. I passi successivi sono stati la creazione di prodotti con il marchio “Love Does Feed”, il cui ricavato delle vendite viene reinvestito in Rizq, e la campagna “Stars Against Hunger”: le star dello sport mettono in vendita i loro abiti firmati per finanziare i progetti contro la fame.

Il successo di Rizq è stato immediato tra i giovani, anche grazie alla diffusione nelle università e attraverso i social media, e può contare su circa 10.000 volontari. I tre ragazzi ritengono che trasmettere ai giovani messaggi positivi di solidarietà sociale sia il primo passo per cambiare le comunità e poi la società.

Huzaifa, Qasim e Musa intendono seguire un modello di economia circolare e rigenerativa – ripresa anche da Talloires Network of Engaged Universities (un’associazione internazionale che promuove l’impegno civile nell’istruzione superiore) – convinti che anche le università possano agire per il cambiamento sociale.

Articolo precedenteGeneral Motors: in produzione solo auto elettriche entro il 2030
Articolo successivoRivoluzione verde e digitale, capisaldi anche per Recovery del Sud. Il Piano di Svimez

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Leave the field below empty!