Biodiversità, un terzo delle riserve naturali mondiali sono a rischio

A minacciare la biodiversità è l’attività umana: tra attività minerarie, sfruttamento forestale e agricoltura (Rinnovabili.it) – La biodiversità continua ad essere minacciata: quasi un terzo delle riserve naturali protette nel mondo, infatti, è gravemente degradato a causa delle attività umane. E’ l’allarme riportato dallo studio appena pubblicato su Science della University of Queensland insieme alla Wildlife Conservation […]

Madidi National Park in Bolivia

A minacciare la biodiversità è l’attività umana: tra attività minerarie, sfruttamento forestale e agricoltura

(Rinnovabili.it) – La biodiversità continua ad essere minacciata: quasi un terzo delle riserve naturali protette nel mondo, infatti, è gravemente degradato a causa delle attività umane. E’ l’allarme riportato dallo studio appena pubblicato su Science della University of Queensland insieme alla Wildlife Conservation Society (WCS) e alla University of Northern British Columbia. Parliamo di una superficie di 2,3 milioni di miglia quadrate (il doppio delle dimensioni dello stato dell’Alaska), attualmente interessate da un’intensa attività umana che va dall’urbanizzazione all’agricoltura intensiva, fino all’attività estrattiva.

 

Lo studio, che permette di tenere sotto controllo le nazioni che cercano di rispettare gli impegni previsti dalla Convenzione sulla diversità biologica (CBD) per arrestare la perdita di biodiversità attraverso la creazione di aree protette, ha analizzato le attività umane attraverso 50 mila aree protette nel mondo. Dal 1992, l’estensione globale delle aree protette è praticamente raddoppiata, e oggi più di 200 mila aree protette coprono quasi il 15 per cento  delle terre nel mondo, puntando a diventare il 17 per cento nel 2020. Benché i dati relativi all’estensione di queste aree verdi sia positivo, le condizioni in cui versano non fanno affatto ben sperare. Un terzo della loro superficie infatti, rappresentato dal 32,8 per cento (sei milioni di kmq) subisce una forte pressione delle attività umane. Solo il 10 per cento delle aree non è interessato da attività umane mentre il 42 per cento registra un’attività dell’uomo che ne complesso, nelle aree istituite prima degli anni ’90, è aumentata del 55 per cento.

 

L’impatto più grave è stato osservato in aree densamente popolate di Europa, Asia e Africa. Tuttavia l’impatto è significativo anche in nazioni meno popolate come l’Australia. Lo studio dà però anche buone notizie: nelle aree protette in cui i criteri in materia di conservazione sono stati applicati in modo più rigido, il livello di conservazione è migliore. Sono tutte zone in cui la pressione umana è minore: il Keo Seima Wildlife Sanctuary in Cambogia, Madidi National Park in Bolivia e Yasuni Biosphere Reserve in Ecuador. Tutti luoghi in cui la Wildlife Conservation Society (WCS) ha investito considerevolmente evitandone il degrado. “Sappiamo che le aree protette funzionano – se ben finanziate, ben gestite e ben posizionate -e sono estremamente efficaci nel fermare le minacce che causano la perdita di biodiversità e nel preservare le specie in via di estinzione”, ha detto il professor James Watson della WCS e della University of Queensland, e autore senior dello studio.

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