Le piattaforme offshore rilasciano più metano del previsto

Uno studio dell’Università del Michigan ha analizzato per la prima volta le emissioni delle piattaforme per l’estrazione di idrocarburi nel Golfo del Messico. I dati delle perdite reali doppiano le stime governative

piattaforme offshore
Di Crescent Petroleum/Icethorn – Opera propria, CC BY-SA 3.0, Collegamento

Una nuova ricerca mostra come il governo USA abbia sempre sottostimato le emissioni di CH4 delle piattaforme offshore

(Rinnovabili.it) – Nelle acque statunitensi del Golfo del Messico le piattaforme offshore, per l’estrazione degli idrocarburi, emettono il doppio del metano rispetto quanto stimato. È uno studio pilota dell’Università del Michigan ad aver condotto la ricerca attraverso la campionatura dell’aria su queste strutture, dimostrando come il governo statunitense abbia decisamente sottostimato le perdite. Attualmente numerosi studi hanno dimostrato che la produzione di petrolio e gas onshore emette molto più metano di quanto previsto con un impatto significativo sulla qualità dell’aria locale. Ma i gas serra prodotti dalle piattaforme offshore non erano stati, fino ad oggi, studiati.

Più precisamente, i dati su queste emissioni, pur venendo conteggiati nelle stime annuali pubblicate dall’EPA non erano mai stati prodotti tramite campionamento diretto.

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La ricerca, pubblicata su Environmental Science and Technology, ha fornito così le prime stime che parlano di emissioni annuali di mezzo teragrammo (equivalente a 500.000 tonnellate) di metano solo dalle piattaforme offshore nel Golfo del Messico. Questo dato le rende paragonabili ai grandi bacini petroliferi e gasieri onshore presenti nella regione Four Corners, nel sud-ovest degli Stati Uniti. Il tasso di perdita di gas identificato dai ricercatori è del 2,9%, il doppio rispetto alle stime dell’EPA: per questa discrepanza sono state ipotizzate tre motivazioni.

Innanzitutto il conteggio delle strutture. L’U.S. Greenhouse Gas Inventory non prende in considerazione le piattaforme offshore in acque statali, che sono oltre 1.300. In secondo luogo le emissioni provenienti dagli impianti installati in acque poco profonde si sono dimostrate molto più elevate rispetto ai dati registrati; infine l’obsolescenza di alcune strutture che, pur costituendo meno dell’1% delle piattaforme totali, contribuiscono a quasi il 40% delle emissioni di metano. Come sottolinea Eric Kort, professore di scienze e ingegneria del clima e dello spazio all’Università del Michigan, già da tempo si sapeva “che la produzione di petrolio e gas onshore emette più metano di quanto stimato. Con questo studio abbiamo dimostrato che avviene lo stesso per la produzione offshore e che la discrepanza nelle stime è enorme”. 

Il team ha condotto il campionamento di 12 singole piattaforme offshore e, su più larga scala, aree che comprendono da 5 a 70 impianti. “Misurando le emissioni da entrambi i punti di vista, quindi quelle delle singole strutture confrontate con quelle provenienti da dozzine di impianti, è possibile […] realizzare una stima statisticamente più veritiera delle emissioni totali provenienti dal Golfo del Messico”, come ha spiegato Alan Gorchov Negron, autore principale dello studio. La ricerca è solo all’inizio, ma quantificare il problema è il primo passo, secondo Kort, “per trovare soluzioni di mitigazione ottimali”. 

Lo studio pilota è promettente, ma, come afferma lo stesso Kort, presenta molte lacune. Per questo motivo sono state avviate ulteriori ricerche dal 2020 al 2022 non solo nel Golfo del Messico, ma anche in Alaska e California. Identificare la causa delle elevate emissioni di metano da piattaforme offshore è fondamentale per riuscire a mettere in campo azioni utili per limitarle, garantendo così anche una migliore qualità dell’aria. 

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