Nel Mediterraneo e nel Mar Nero il 65% del pesce è pescato in maniera non sostenibile ma il numero delle imbarcazioni deputate alla pesca è sceso di un terzo in 10 anni.

di Erminia Voccia
Pubblicato il Review of the State of World Marine Fishery Resources 2025
La pesca non sostenibile costituisce il 35% di tutta la pesca mondiale. Il “pescato del giorno” alla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano, in corso in questi giorni a Nizza, non è una spigola fresca ma un dato allarmante sulla percentuale delle risorse ittiche mondiali sfruttate in maniera non sostenibile. A dirlo è l’ultima indagine della Fao, un monito su quanto surriscaldamento globale, pesca illegale e pratiche dannose per l’ambiente incidano sulla vita animale degli oceani.
L’attività umana sta progressivamente prosciugando l’oceano ma è proprio l’uomo a poter invertire la tendenza. Questo in sintesi è il senso del rapporto presentato ieri a Nizza da Manuel Barange, vicedirettore generale della Fao. Peschiamo più pesce di quanto il mare sia in grado di darci e come ha spiegato lo stesso Barange: “Stiamo impoverendo la popolazione dell’oceano“.
Lo studio della Fao sullo stato delle risorse ittiche marine mondiali si basa su i dati di 2.570 stock ittici, la porzione più ampia valutata finora dall’associazione, e traccia un quadro complesso. Il rapporto rileva che più di un terzo delle riserve del mondo viene sovrasfruttato ma il 77% del pesce consumato a livello globale deriva dalla pesca legale e sostenibile. Il messaggio è chiaro: dove le regole esistono si pesca senza arrecare danno agli ecosistemi marini.
La pesca non sostenibile nelle varie regioni del mondo
I dati sono diversi a seconda delle aree geografiche. Per quanto riguarda la costa del Pacifico di Stati Uniti e Canada la pesca sostenibile si attesta al 90%. Australia e Nuova Zelanda sono altri esempi positivi, con l’85% di pesca sostenibile. Nell’Antartide, dove valgono norme internazionali più rigide, si arriva addirittura al 100% di sostenibilità.
La pesca non sostenibile è un problema soprattutto per la costa nordoccidentale dell’Africa, dal Marocco al Golfo di Guinea. Lì oltre la meta delle risorse ittiche sono sovrasfruttate e ci sono minimi segnali di ripresa per la ri-popolazione dei pesci. Il Mediterraneo e il Mar Nero fanno anche peggio: 65% di pesca non sostenibile. Tuttavia, il numero delle imbarcazioni deputate alla attività economiche in queste due regioni è diminuito di quasi un terzo negli ultimi 10 anni, altro dato positivo da considerare. Probabilmente, le normative iniziano a dare qualche risultato.
Il tonno sta meglio di altri pesci di mare, secondo il report della Fao, e sta tornando a popolare le acque. Oggi l’87% degli stock di tonno è pescato in maniera sostenibile e il 99% del mercato globale di tonno proviene da questi stock. “Un ritorno significativo – ha commentato Barange – e ciò avviene perché abbiamo affrontato seriamente la questione, istituendo sistemi di monitoraggio e sistemi di gestione efficaci. Quanto abbiamo perso in una generazione può tornare in quella successiva“
La Fao spera di influenzare la discussione sul tema andando anche oltre la conferenza di Nizza. L’agenzia Onu ha collaborato gomito a gomito con 25 organizzazioni regionali che si occupano di gestione delle attività ittiche. Il modello è replicabile, sempre se la politica lo vorrà.
QUI l’indagine della Fao sullo stato delle risorse ittiche marine mondiali.