Il mercurio rilasciato dalle emissioni antropogeniche causate dalla combustione del carbone e dall'estrazione dell'oro può restare nell'atmosfera per un anno. Quando entra nell'oceano, vi rimane invece per 300 anni.

di Erminia Voccia
L’inquinamento da mercurio nel mare minaccia la fauna dell’Artico e le popolazioni indigene. Nonostante la contrazione delle emissioni globali di mercurio, la concentrazione del metallo tossico nell’Artico, la regione più a Nord della Terra, continua ad aumentare. Il mercurio, una potente neurotossina, resta nell’oceano per secoli, trasportato dalle correnti, ponendo rischi gravi per gli ecosistemi marini e la salute umana. Lo rivela uno studio pubblicato su Nature Communications e redatto dai ricercatori dell’Aarhus University e dell’University of Copenhagen.
“Il mercurio colpisce il sistema immunitario, le capacità riproduttive e verosimilmente le funzioni sensoriali degli animali, fino a metterne in pericolo la sopravvivenza“, ha spiegato Christian Sonne dell’Aarhus University. Tra i principali predatori dell’Artico, orsi polari e i cetacei dentali, le concentrazioni ora sono 20-30 volte più alte rispetto ai livelli pre-industriali. Questo costituisce un problema per la fauna selvatica e per le comunità indigene locali che dipendono dai mammiferi marini per la loro sussistenza.
L’inquinamento da mercurio nel mare e le correnti oceaniche
Il mercurio rilasciato dalle emissioni antropogeniche causate dalla combustione del carbone e dall’estrazione dell’oro può restare nell’atmosfera per un anno. Quando entra nell’oceano, vi rimane invece per 300 anni. Significa che, anche a fronte di una riduzione delle emissioni globali, l’Artico continuerà a risentirne per centinaia di anni. “Abbiamo monitorato le concentrazioni di mercurio negli animali artici per più di 40 anni. Le emissioni sono in calo dal 1970 ma non c’è alcuna corrispondenza di questo calo nell’Artico, al contrario“, ha detto il professor Rune Dietz dell’Aarhus University.
I ricercatori hanno analizzato più di 700 campioni di orsi, foche, pesci e torba della Groenlandia raccolti negli ultimi 40 anni. Dopo aver esaminato la composizione di sei isotopi più comuni, sono arrivati a identificare delle differenze regionali corrispondenti all’andamento delle correnti oceaniche. “Gli isotopi funzionano come impronte digitali e svelano l’origine e il percorso delle sostanze tossiche“, ha spiegato il ricercatore Jens Søndergaard dell’Aarhus University.
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I risultati dello studio e le conseguenze dell’inquinamento da mercurio nel mare hanno inevitabili implicazioni per la Convenzione di Minamata, considerato che l’effetto è in grado di propagarsi nei secoli. Lo scopo della Convenzione è appunto controllare e ridurre le emissioni antropogeniche, ossia derivanti dall’azione umana, di mercurio e di composti di mercurio nell’aria, nell’acqua e nel suolo.
QUI lo studio pubblicato su Nature Communications