Le associazioni di categorie sono preoccupare che senza le risorse economiche necessarie si blocchi il processo di economia circolare

Il settore della raccolta e valorizzazione dei rifiuti tessili è sempre più in difficoltà. A lanciare il grido d’allarme è l’Unirau, l’Associazione delle aziende e delle cooperative, che svolgono queste attività e Ariu (Associazione Recuperatori Indumenti Usati), accompagnati da rappresentanti di Retessile, che hanno illustrato un report che analizza la situazione critica vissuta dalla filiera dei rifiuti tessili urbani.
Italia ha iniziato prima dell’UE
Facciamo un recap della situazione. Dal 1° gennaio di quest’anno i Paesi europei hanno dovuto attivare la raccolta differenziata della frazione tessile dei rifiuti urbani. In realtà, per l’Italia già nel 2022 era scattato l’obbligo, ora per tutta l’Ue. Nei decenni precedenti era tutto su base volontaria a cui avevano aderito consorzi e cooperative, ma i quantitativi di raccolta erano limitati.
Abbigliamento, accessori, calzature e tessile domestico sono le categorie di riferimento dei rifiuti tessili, ma la qualità del riciclo non sempre era omogenea o rispettava degli standard. Lo scorso 18 febbraio nell’ambito della revisione della Direttiva rifiuti è stato approvato un testo provvisorio che definisce l’obbligo di istituzione in tutti i Paesi UE del regime di responsabilità dei produttori entro 30 mesi dall’entrata in vigore delle norme per istituire i regimi EPR.
Un passaggio necessario per incentivare gli investimenti necessari nelle infrastrutture di raccolta, selezione e soprattutto riciclaggio dei prodotti tessili post-consumo. Purtroppo però le risorse economiche che saranno fornite dai regimi EPR non sono ancora disponibili.
Rifiuti tessili, criticità del sistema
Ma il calo della qualità dei prodotti fastfashion, problemi geopolitici, concorrenza del “super Fast-Fashion” cinese nei mercati globali del “second hand” sta determinando un crollo del valore delle raccolte fino in alcuni casi alla impossibilità di trovare selezionatori disponibili all’acquisto. Questa congiuntura sta mettendo a dura prova la sostenibilità finanziaria del settore.
I costi di raccolta, infatti, variano tra i 306 ed i 366 euro/tonnellata, a seconda di diversi fattori di costo presi in esame. Fa notare Andrea Fluttero, Presidente Unirau che “per anni i costi della raccolta effettuata tipicamente da soggetti dell’economia sociale si autosostenevano con il valore ricavato dalla vendita alle aziende della selezione di quanto raccolto, che veniva valorizzato tramite preparazione per il riuso e riciclo”.
Rischi del non fare
E’ probabile che arriveranno entro il 2026 i primi pratici provvedimenti per il settore. Provvedimenti per l’istituzione di un regime di EPR a cui stanno lavorando, il MASE e l’UE, tramite la revisione della direttiva europea 2008/98, in modo da poter sostenere comuni ed aziende della raccolta rifiuti urbani.
Se non si procedere in modo chiaro sulle misure temporanee di sostegno, secondo gli attori della filiera, si potrebbe rischiare il blocco della raccolta e del processo di trattamento e riciclo. Riciclo che è obbligatorio per i comuni, che si vedranno costretti ad aumentare i rifiuti indifferenziati, quindi l’impatto sull’ambiente.
Nel documento di Unirau e Ariu si ipotizzano alcune possibili azioni:
- la possibilità di prezzi agevolati per smaltire gli scarti della raccolta e della selezione,
- l’impegno ad evitare iniziative per aumentare i quantitativi raccolti
- la sospensione del pagamento di eventuali royaties dovute a seguito di gare pregresse per la raccolta
- il passaggio da gare ad evidenza pubblica al massimo rialzo a quelle al massimo ribasso.