La Casa Bianca si prepara a rilasciare licenze di esplorazione mineraria dei fondali marini e dei permessi di recupero commerciale dei minerali critici in aree al di fuori della giurisdizione nazionale. Ribatte l'ISA: "ciò si trova al di là [dei fondali nazionali] è patrimonio comune dell'umanità"

La strategia USA sul deep sea mining sfida le norme internazionali
C’è l’alto mare nel mirino della nuova strategia di approvvigionamento statunitense. Il 24 aprile 2025 il presidente statunitense Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo “Liberare le risorse e i minerali critici offshore degli Stati Uniti”, atto con cui si sostengono le attività minerarie in acque profonde.
Imperniato sul nuovo mantra trumpiano “a noi serve”, l’ordine mira ad accelerare il processo di rilascio delle licenze di esplorazione ed estrazione mineraria dei fondali marini. È quello che in gergo viene chiamato deep sea mining, attività di recupero di minerali come il cobalto, il nichel e il manganese che si trovano sepolti nel fondale marino a profondità di oltre 4 km.
Operazione controversa soprattutto per gli impatti ambientali, ma già sdoganata nelle acque nazionali di diversi paesi.
Attività minerarie in acque profonde internazionali
La Casa Bianca sta puntando oltre la giurisdizione USA. L’atto prevede infatti istituire una procedura accelerata per la revisione e l’approvazione dei permessi all’interno della Piattaforma Continentale Esterna degli Stati Uniti. Allo stesso tempo ordina di valutare l’interesse e le opportunità del settore privato per l’esplorazione delle risorse minerarie dei fondali marini in aree al di fuori delle acque nazionali.
Possibile? Sì e no. L’Amministrazione Trump fa affidamento sul Deep Seabed Hard Mineral Resources Act, una vecchia legge del 1980 che consentirebbe al governo federale di rilasciare autorizzazioni per l’estrazione mineraria dai fondali marini in acque internazionali.
In barba all’attuale Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) che – va sottolineato – gli Stati Uniti non hanno mai ratificato.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare
La mossa è piaciuta ben poco all’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA). L’ente intergovernativo, fondato originariamente dall’ONU, regola tutte le attività legate ai minerali in alto mare e, visto le crescenti pressioni dei Governi sul deep sea mining, sta elaborando un regolamento ad hoc per l’attività mineraria in acque profonde.
“La Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare […] proclama l’Area [ nome di tutti i fondali marini, oceanici e del sottosuolo della Terra al di fuori della giurisdizione nazionale] e le sue risorse Patrimonio Comune dell’Umanità”, spiega Leticia Reis de Carvalho, Segretaria Generale dell’ISA. “Un diretto corollario di questo status giuridico è che nessuno Stato può rivendicare, acquisire o esercitare sovranità o diritti sovrani su alcuna parte dell’Area o sulle sue risorse minerarie“. Un divieto che si applica indistintamente a tutti, firmatari e non dell’UNCLOS.
Secondo la convenzione, l’Autorità deve supervisionare qualsiasi esplorazione o estrazione di risorse in acque internazionali, sia proteggere l’ambiente marino .
Per Leticia Reis de Carvalho “qualsiasi azione unilaterale non solo minaccia questo trattato attentamente negoziato e decenni di attuazione e cooperazione internazionale di successo, ma crea anche un pericoloso precedente che potrebbe destabilizzare l’intero sistema di governance oceanica globale”.
Il nuovo codice minerario per il deep sea mining
Non solo. La posizione del governo USA rischia oggi di mandare in fumo gli sforzi per sviluppare un solido quadro normativo condiviso al livello mondiale sul deep sea mining in alto mare. Un negoziato lungo e complesso che sta coinvolgendo 169 paesi e in cui vi sono diversi interessi in gioco. e che dovrebbe portare alla luce il nuovo codice minerario per regolamentare la nascente industria offshore.
L’obiettivo del nuovo regolamento, spiega l’ISA è quello di riuscire a implementare implementati concetti fondamentali come il “patrimonio comune” e la “condivisione dei benefici” globale nelle attività minerarie in acque profonde internazionali.