In gioco, oltre alla salvaguardia del clima e della salute, è la competitività della nostra industria e la difesa di milioni di posti di lavoro. L'intervista a tutto campo a Marchetti di T&E Italia.

di Erminia Voccia
Sull’automotive la premier Meloni non cambia linea. La presidente del Consiglio ritiene “controproducente” puntare unicamente all’elettrico, come ha affermato lei stessa al question time della Camera la settimana scorsa. Rinnovabili ha intervistato Esther Marchetti, Clean Transport Advocacy Manager per l’Italia di T&E, il principale gruppo europeo per i trasporti puliti. Con l’aiuto di Marchetti abbiamo provato a esaminare, punto per punto, le posizioni della premier su Green Deal, transizione ecologica e “vulnerabilità strategica” nei confronti della Cina.
Provando a costruire un asse con la Germania di Merz, Meloni ha invocato un approccio più cauto alla transizione ecologica utile, a detta sua, a garantire la stabilità economica e sociale. La premier ha affermato che la transizione all’elettrico rischia di devastare il settore industriale europeo. È d’accordo?
Il settore dei trasporti su strada (auto, furgoni, camion e autobus) è responsabile del 22% delle emissioni di gas serra nell’UE, una quota destinata ad aumentare nei prossimi anni. Rimandare l’elettrificazione avrà conseguenze negative per salute, clima e ambiente, senza portare alcun vantaggio economico o industriale. Anzi, favorirà ulteriormente le industrie delle potenze concorrenti dell’UE, già avvantaggiate nello sviluppo delle soluzioni più mature ed efficienti per decarbonizzare i trasporti, non solo in termini di produzione di veicoli ma lungo tutta la catena di valore.
Il tema in gioco, quindi, oltre alla salvaguardia del clima e della salute, è la competitività della nostra industria e la difesa di milioni di posti di lavoro. Di fronte a una rivoluzione tecnologica globale, noi dovremmo accelerare l’aggiornamento dell’industria europea, non rallentarlo.
La premier sostiene che puntare unicamente all’elettrico sarebbe sbagliato dal momento che l’Europa è ancora troppo dipendente dalla filiera cinese. A tal proposito ha parlato di “vulnerabilità strategica”, ma lasciare campo libero a Pechino non sarebbe peggio?
Allo stato attuale, i trasporti europei dipendono fortemente dalle importazioni di petrolio. Gli stessi biofuel, che molti nel governo italiano vorrebbero vedere tra le soluzioni adottate da qui ai prossimi anni, poggiano sull’import di biomasse da Cina e Sudest asiatico. Queste molteplici dipendenze hanno enormi impatti climatici, ma anche economici: nel 2024 l’UE ha speso circa 250 miliardi per importare petrolio, oltre 4.000 miliardi dall’inizio degli anni Dieci. Il tema ha dimensioni climatiche ed economiche e ha anche a che fare direttamente con la sicurezza energetica, vedi guerra in Ucraina.
Passare alle auto elettriche porta con sé il rischio di sostituire la dipendenza dal petrolio con quella dalle materie prime usate per le batterie, è ovvio. Questa, tuttavia, è una preoccupazione quantomeno da ridimensionare: mentre i combustibili fossili si esauriscono con il loro uso, e non vi è in quel caso alcuna possibilità di recupero dell’energia impiegata, i metalli delle batterie possono essere riciclati e riutilizzati potenzialmente all’infinito. Vuol dire che in futuro, molto più che avere miniere e siti di estrazione converrà avere capacità di riciclo, un fronte sul quale l’industria europea e quella italiana possono giocare la loro partita.
L’Italia e la Repubblica Ceca, insieme ad altri 15 Paesi, promuovono il principio della “neutralità tecnologica”. Anche Ursula von der Leyen ha fatto marcia indietro aprendo alla possibilità di allungare – a oltre al 2035 – la vita dei veicoli ibridi, alimentati con gli e-fuel o con i biocarburanti. Quanto incide la neutralità tecnologica sulla decarbonizzazione?
Il regolamento UE sul phase-out dei motori endotermici entro il 2035 stabilisce l’obbligo di zero emissioni allo scarico, senza tuttavia indicare una tecnologia specifica per il conseguimento di tale obiettivo. Per decarbonizzare le automobili e raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050, le auto elettriche a batteria rappresentano attualmente la soluzione tecnologica più matura, efficiente ed economicamente sostenibile. Non dimentichiamolo mai: un’elettrica impiega, a parità di distanza percorsa, circa un terzo dell’energia impiegata da un’auto endotermica.
L’industria faticherà a conseguire i propri obiettivi se le opzioni sul tavolo – endotermico, ibrido, plug-in hybrid, plug-in hybrid di lunga percorrenza, idrogeno, elettrico – saranno troppe, e nessuna tra queste sarà indicata come prevalente. Per gestire la transizione le aziende devono sapere in che cosa investire: servono certezze!
Il governo italiano punta a riscrivere il Green Deal, in particolare per il settore dell’automotive. Roma vorrebbe rivedere le norme sul calcolo delle emissioni considerando l’intero ciclo produttivo di un veicolo e non unicamente le emissioni da gas di scarico. Quanto sarebbe dannoso procedere in tal senso?
L’esame della letteratura mostra un ampio consenso sul fatto che, considerando l’intero ciclo di vita, le auto elettriche a batteria tendono a presentare impatti significativamente inferiori in termini di gas a effetto serra rispetto ai veicoli con motore a combustione interna, nonostante le emissioni legate alla produzione inizialmente più elevate. Si tratta, in media, di quasi tre volte meno CO2 rispetto alle auto equivalenti a benzina/diesel.
I dati sono già chiari e chiedere di rivederli sembra più un modo per prendere tempo. Ma ogni ulteriore indugio nella transizione rischia di far perdere competitività all’industria automobilistica europea, mentre il mercato globale continua a puntare sull’elettrificazione, rendendo sempre più difficile recuperare il terreno rispetto ai competitor, a partire dalla Cina.
A inizio mese il Parlamento UE ha deciso di ammorbidire le regole in materia di emissioni nocive, rinviando alla fine del 2027 le multe per le case automobilistiche che non rispettano gli standard. Quanto inciderà questa decisione sugli obiettivi climatici?
Lo slittamento rischia solo di rallentare il passaggio alla mobilità elettrica, creando incertezze sugli investimenti nella produzione europea e penalizzando i carmaker all’avanguardia già conformi agli obiettivi del 2025, oltre a minare la fiducia dei consumatori. Una decisione paradossale, soprattutto considerando che nei primi due mesi dell’anno le vendite di auto elettriche in Europa sono aumentate del 28%, dimostrando l’efficacia degli obiettivi finora fissati.
Ancora più critica è l’intenzione di anticipare al 2025 la revisione del regolamento UE sui limiti di emissioni di CO2 per auto e furgoni, originariamente prevista per il 2026. Questa revisione era stata pensata per valutare i risultati del 2025; anticiparla significa farlo senza dati adeguati. Appare evidente che si voglia intervenire sul regolamento per favorire tecnologie meno efficienti e più inquinanti, che non risolvono tra l’altro il problema dell’inquinamento atmosferico, causa di decine di migliaia di morti premature ogni anno in Italia.
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