Cala la domanda in UE, America e Cina, ma entro il 2030 salirà in Sud America e Asia Meridionale

La domanda globale delle auto diminuisce. E continuerà a farlo almeno fino al 2030. Ma perché l’auto è in crisi? Un declino lento, acuito prima dalla pandemia ed ora dalle tensioni geopolitiche, dall’incertezza dei dazi e da una transizione all’elettrico che non esplode. D’altronde nei giorni scorsi anche due big dell’auto, come Stellantis e Renault ,avevano espresso la loro preoccupazione. Mentre l’Ue frena sulle multe per chi non rispetta il target emissioni.
Secondo lo studio condotto da Aniasa e Bain & Company dal titolo ‘Navigare nella nebbia. Il futuro incerto dell’automotive‘, stanno cambiando gli assetti mondiali della richiesta di automobili.
Europa e Nord America in calo
Dopo un periodo di sviluppo prolungato, dal 2001 al 2017, il tasso di crescita annuo composto era del 3,3%, in cui è stata l’Asia – e in particolare la Cina – a guidare la crescita globale del settore; per il periodo 2017-2030, si prevede una sostanziale stagnazione in Cina (+0,3%) e un declino nei mercati maturi come Europa (-0,6%), Nord America (-0,4%), Giappone e Corea (-1,2%). In questa situazione a crescere sono l’Asia meridionale (+2,7% di Cagr) e il Sud America (+1,5%), dove l’urbanizzazione crescente e il miglioramento delle condizioni economiche locali spingono la domanda.
Crescita mondiale moderata
Entro il 2028 l’Europa accumulerà un divario di circa 15 milioni di veicoli rispetto alle previsioni fatte nel 2022. Il Nord America segue un trend analogo, con uno scarto negativo di 7,5 milioni di unità. Si tratta di un vero e proprio rallentamento strutturale che potrebbe compromettere la sostenibilità di molti costruttori. In questo contesto le proiezioni al 2030 indicano un tasso di crescita mondiale di appena +0,2%.
Chi vince e chi perde
Secondo lo studio, lo scenario del perché l’auto è in crisi è piuttosto complicato. Soprattutto i dazi pesano come fardelli allo sviluppo industriale e sono usati dai vari paesi come strumento di politica industriale. I brand tedeschi sono quelli più esposti: si stima che la metà dei volumi siano a rischio tra stagnazione in Europa, perdita di slancio in Cina, barriere doganali imposte dagli Stati Uniti.
Per quanto riguarda le case giapponesi e coreane, il problema riguarda soprattutto il mercato americano, dove sono fortemente presenti, ma vulnerabili ai dazi. Gli Stati Uniti stanno tentando di recuperare terreno industriale, dopo un declino decennale della manifattura. La Cina, com’è noto, ha assunto un ruolo dominante nella produzione globale, controllando oltre la metà della produzione mondiale di acciaio e di navi nel 2023.
Squilibrio delle importazioni
Nel 2024, gli Stati Uniti sono il primo mercato importatore di auto: circa 5 milioni di unità, il 23% del loro fabbisogno interno. Gli americani scelgono Toyota, Hyundai e Kia – mentre le Case cinesi sono praticamente assenti, rendendo i dazi contro la Cina poco impattanti per il settore auto.
A seguire l’Europa con oltre 4 milioni e il Medio Oriente. Cina e Giappone sono quasi completamente autosufficienti. Le marche più colpite dai dazi potrebbero essere quelle giapponesi e coreane, che hanno una quota importante delle vendite globali realizzate negli Stati Uniti. Tuttavia, molte delle case asiatiche hanno già localizzato parte della produzione negli Usa, attenuando l’effetto delle barriere commerciali.
Perché l’auto è in crisi anche in Italia?
Nel nostro Paese, secondo l’indagine Aniasa – Bain & Company sulle abitudini di mobilità, c’è un deciso ritorno all’uso dell’auto privata come mezzo principale per gli spostamenti. Ma, non si compra il nuovo, la prima scelta è l’usato. Ed il parco circolante sta invecchiando. Il prezzo è il fattore discriminante nel 35% dei consumatori che scelgono di comprare modelli cinesi o asiatici. E se nel primo trimestre del 2025 le ibride raggiungono il 50% del mercato, e le Bev superano il 5%, con il diesel che sta scomparendo, questo non si traduce in benefici sulle emissioni medie di CO2, che rimangono oltre i 115 g/km, superiori anche ai livelli del 2015.
“Il comparto automotive non può più contare sulla crescita come driver naturale. In questo contesto, solo chi saprà ripensare la propria presenza geografica, rivedere la catena del valore e investire in flessibilità potrà restare competitivo nel medio-lungo termine. L’Europa, in particolare, deve ridefinire con decisione e coraggio il proprio ruolo industriale“, conclude Gianluca Di Loreto, partner e responsabile italiano automotive di Bain & Company.