FuturEmobility presenta le sfide della mobilità sostenibile

Le voci della politica, dell’industria e dell’associazionismo hanno aperto i lavori dell’appuntamento organizzato da Rinnovabili.it in collaborazione con Symbola, Earth Day Italia, WWF e Cluster BIG, e con il patrocinio del MIMS, di RSE e di ASVIS. EV e MaaS, idrogeno e reti di ricarica, politiche di incentivi e fondi del PNRR i protagonisti del primo panel della giornata dedicata alla mobilità sostenibile

FuturEmobility: cosa ci riserva il futuro della mobilità sostenibile?

FuturEmobility è il primo forum sulla mobilità sostenibile

(Rinnovabili.it) – “Abbiamo bisogno di un passaggio culturale dai trasporti alla mobilità: un cambiamento profondo nel modo in cui pensiamo questo tema”. C’è la necessità di una “visione più ampia” che apre a “sfide enormi” al centro del messaggio con cui il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile, Enrico Giovannini, ha aperto i lavori di FuturEmobility, il primo forum sulla mobilità sostenibile organizzato da Rinnovabili.it in collaborazione con Symbola, Earth Day Italia, WWF e Cluster BIG, e con il patrocinio del MIMS, di RSE e di ASVIS.

Un momento di confronto e dibattito ideato per testare il livello di preparazione italiano rispetto a questa sfida cruciale per il buon esito della transizione energetica. È una “colossale trasformazione, non solo culturale e tecnologica ma anche sociale”, richiama il direttore di Rinnovabili.it, Mauro Spagnolo, “che coinvolge tutti gli aspetti della vita dei cittadini”. Una rivoluzione verso, dentro e intorno le città che promette di cambiare il modo in cui ci muoviamo ogni giorno. Ma è anche una rivoluzione necessaria dato che “i trasporti coprono il 20-25% degli usi finali dell’energia a livello globale, e sono responsabili di oltre il 25% della produzione di CO2, ricorda Vincenzo Naso, presidente del Comitato Scientifico di indirizzo di Rinnovabili.it

EV e idrogeno, infrastruttura di ricarica, batterie sostenibili, Mobility as a Service (MaaS), innovazione. Sono alcuni dei temi toccati oggi, 25 gennaio, dal forum FuturEmobility dando voce – in 4 panel – a tutti i protagonisti della mobilità sostenibile: il mondo politico, le realtà territoriali, il settore dell’automotive e gli attori dell’innovazione tecnologica.

FuturEmobility, le priorità della politica sulla mobilità sostenibile

La transizione verso un modello di mobilità sostenibile “non si fa dal giorno alla notte”, come ricorda il ministro Giovannini. Ma certamente viviamo un momento storico dove accelerare il cambiamento non è solo necessario ma anche urgente: questo deve essere il decennio dell’azione per contrastare il cambiamento climatico o non riusciremo a restare entro la soglia di 1,5 gradi di riscaldamento globale. E per correre non servono solo buone gambe ma anche una lista delle priorità chiara. Priorità di cui hanno discusso i tanti relatori del primo panel di FuturEmobility, dedicato a istituzioni, industria e associazioni.

In parte le gambe ci sono, rivendica Giovannini. Si tratta dei fondi del PNRR per la mobilità sostenibile. “Abbiamo previsto 300 mln per progetti che valorizzano le filiere nazionali di autobus non inquinanti, la stessa cosa avverrà per le auto”, sottolinea il ministro. Risorse che si aggiungono a quelle, sempre previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, dedicate allo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica per veicoli elettrici. E in legge di bilancio il MIMS ha previsto 2 mld di euro per accompagnare l’accelerazione sulla mobilità sostenibile in tutte le sue dimensioni. Fondi che servono per centrare gli obiettivi di zero veicoli endotermici venduti al 2035 e una riduzione in numeri assoluti del parco auto nazionale entro fine decennio come previsto nel PNIEC.

È proprio questa la priorità numero uno per il ministro: sviluppare un’ottica integrata. Il Comitato per la Transizione Ecologica che riunisce i ministeri competenti aiuta, bisogna accompagnare la trasformazione delle filiere, ma soprattutto bisogna abbracciare l’ottica della mobilità come servizio (MaaS). “Focalizzarsi solo su un settore rischia di non supportare adeguatamente sia l’evoluzione del cambiamento delle scelte dei consumatori, sia la trasformazione organizzativa delle filiere produttive”. In parallelo, per Giovannini è necessario un ribaltamento di punto di vista attraverso l’economia comportamentale: “non più il cliente che chiede al venditore quanti km di autonomia ha un’auto, ma il venditore che anticipa il cliente chiedendogli quanti km percorre normalmente e quali sono le sue necessità”.

“Vanno distinti i contesti urbani dalle aree interne, tenendo conto che nel primo abbiamo enormi margini di miglioramento per diminuire le emissioni”, allunga la lista delle priorità il senatore Gianni Girotto, presidente Commissione Industria del Senato. Come? In cima all’elenco deve esserci il tema degli acquisti: in città, “anziché muovere 100 veicoli con 10 kg di merce, facciamo muovere 1 veicolo solo con 1000 kg di merce”. Al suo fianco, il concetto di città dei 15 minuti. E ancora: sfruttare le potenzialità delle comunità energetiche rinnovabili, tramite le quali “adesso si può fornire elettricità alle colonnine di ricarica”. Un tema importante visto che “secondo l’Istat, metà della spesa per l’energia delle famiglie italiane è occupata proprio dal carburante per l’auto”, rimarca Girotto.

Ovviamente, la trasformazione della mobilità investe in modo preponderante le filiere, e questo aspetto deve essere tenuto nel giusto conto perché è “il più delicato”. La filiera intesa in senso ampio occupa oltre 1 mln di lavoratori e “la politica ha il compito di accompagnare la filiera” anche attraverso “la creazione di filiere interne per batterie, pannelli solari e microprocessori”, aggiunge il senatore.

Le voci dell’industria

Incentivi, incentivi, incentivi. La parola che manca negli interventi istituzionali è al centro delle preoccupazioni dell’industria. Molto critico Angelo Sticchi Damiani, presidente dell’ACI, secondo il quale la politica di incentivi non ha dato i frutti sperati. “Nel 2020 non abbiamo avuto risultati su euro 0 in termini di demolizioni, e pochissimi su Euro 1 e 2. Le demolizioni maggiori sono state di Euro 5 e 6. Quindi questa politica va modificata”, spiega intervenendo a FuturEmobility. Come? “Diamo ad esempio 2.000 euro per rottamare un Euro 0 e non comprare un’altra auto. Oppure diamo l’incentivo per Euro 5 o 6 usati se si demolisce un Euro 0”. Incentivi che devono eliminare la “zavorra” del parco circolante “più vetusto d’Europa” con un’anzianità media di 12 anni e più numeroso con 63 auto ogni 100 abitanti.

Rinnovamento del parco auto che deve accelerare perché “a questi ritmi serviranno 30 anni e per allora anche le innovazioni tecnologiche di oggi saranno archeologia”, afferma Andrea Cardinali, direttore generale di UNRAE, l’Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri. Per questo “la fine degli incentivi fa preoccupare”, dato che l’anno scorso sono raddoppiati i volumi di vendita di full electric e ibridi plug-in. “C’è stata una migrazione dei compratori verso auto a minori volumi emissivi. In questo senso, possiamo dire che la politica degli incentivi di questi anni ha funzionato”, argomenta Cardinali.

E andrebbe prolungata perché “è bizzarro che un paese con target importanti” come quello su zero ICE al 2035 “non metta in legge di bilancio una misura per aiutare la diffusione” dei veicoli elettrici e a basse emissioni, aggiunge Gianmarco Giorda, direttore generale di ANFIA, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica. Così si rischia di vendere 100mila vetture low-carbon quest’anno, a fronte delle 230mila dell’anno scorso. E il governo dovrebbe fare attenzione anche alla value chain delle batterie: rischiamo di trasformarci in una regione dove, semplicemente, si assemblano batterie nelle gigafactory “mentre le competenze necessarie, dalla chimica dei materiali alla produzione dei catodi, sono oggi largamente in Cina”. Mentre per Giuseppe Ricci di Confindustria Energia la priorità dell’esecutivo dovrebbe essere concentrare le risorse del PNRR del capitolo mobilità nelle aree urbane, dove è più facile ottenere risultati in poco tempo.

Il mondo delle associazioni

“L’errore, casomai, è stato dare incentivi a cose che non erano auto elettriche”, ribatte Ermete Realacci intervenendo dal palco virtuale di FuturEmobility. Per il presidente di Fondazione Symbola il governo ha un ruolo fondamentale per “aiutare le aziende a riconvertirsi o a usare le loro competenze per fare altro”, ma l’industria deve accettare che “l’idrogeno servirà per navi, aerei e forse tir, ma per il resto non è in campo”.

Occorre, piuttosto, “ridimensionare la centralità dell’auto”, suggerisce Marcella Mallen, copresidente di ASVIS. Come? Potenziando le reti di tpl, dando più spazi per la mobilità attiva (ciclabili e aree pedonali), investendo sulla sharing mobility e sulle tecnologie per veicoli ibridi ed elettrici. Ma anche “con la rimodulazione degli incentivi per collegarli al reddito, e accelerando il rinnovo della flotta della pubblica amministrazione”. Proposte in linea con quelle avanzate da Transport & Environment Italia tramite la direttrice Veronica Aneris: “c’è assoluto bisogno di diminuire il parco auto e potenziare la mobilità attiva”, ma anche di aumentare proporzionalmente i target intermedi al 2025 e al 2030 sul phase out degli ICE. La sensazione è che abbiamo target sfidanti ma poi non c’è coerenza su politiche e step intermedi, rimarca. Mancano le misure per arrivarci, dalle politiche industriali per accompagnare la filiera e i lavoratori, alle politiche sulla domanda. Qui Aneris lamenta “l’abolizione del meccanismo di bonus malus introdotto nel 2019, un buon esempio di politica che doveva essere rafforzata perché si ripaga da sola e trasforma i sussidi ambientalmente dannosi” in sussidi coerenti con le politiche climatiche.

Di usare un ampio ventaglio di strumenti parla anche Donatella Bianchi, presidente WWF Italia, ricordando che l’associazione di recete ha scritto al governo per ribadire che “le risorse investite finora per la mobilità sostenibile non sono assolutamente sufficienti”. Oltre al piano del dibattito, c’è anche il mondo dell’associazionismo che sperimenta, in concreto, nuove soluzioni per la transizione: come Earth Day Italia e il progetto Green Mobility Platform, una piattaforma digitale che tiene sotto controllo tutte le variabili di impatto ambientale dell’intera mobilità di un’azienda. “Oggi le flotte aziendali sono il contesto dove si può già incidere e fare la differenza”, sottolinea il presidente Pierluigi Sassi, “d’altronde questo mondo oggi sta già virando da un concetto di figura come il fleet manager a una figura di mobility manager, che prende in considerazione la mobilità del dipendente in senso più ampio”.

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1 commento

  1. Con riferimento alla “Grande Muraglia Verde” faccio questi suggerimenti:
    Subito dopo la seconda guerra mondiale Anton Zischka riconobbe che l’Africa sarà il primo compito unitario dell’Europa e l’ing. Vichi più di 30 anni fa sviluppava per la società statale IRI il piano chiamato ” Transaqua” per trasferire acqua dal bacino del Congo al lago Ciad e lo ha proposto alla conferenza sul clima di Rio, ma purtroppo non fu accolto. Ho approfondito l’argomento sulla base del Canale Transalpino Danubio-Tirolo-Adria e proponevo il trasferimento dell’acqua attraverso un canale navigabile dal Congo al Lago Ciad, attraverso il Sahel e il Sahara fino al Mar Mediterraneo e quindi ritengo che l’uso dell’acqua del Congo alla discesa verso l’Atlantico per produrre energia idroelettrica a causa delle zone aride a nord del bacino del Congo non sia più giustificabile. Questi piani risalgono ai tempi nei quali il fotovoltaico era ancora sconosciuto.
    “Un quadrato di 700×700 km – l’area della Francia – vicino all’Equatore potrebbe soddisfare il fabbisogno di energia del mondo” e la superficie dell’Austria produrrebbe elettricità (Tratto da “Geht uns aus der Sonne” del deceduto europarlamentare Hans Kronberger)
    – Ecco un esempio lampante: nel bacino etiope “GERD” con circa 1800 km², evaporeranno 2,5 m³ di acqua per m² di superficie del lago, per cui la produzione di elettricità dall’energia idroelettrica sarà ridotta fino al 10% e ovviamente meno acqua scorrerà nel Nilo e raggiungerà l’Egitto.
    – Si potrebbe ora, per evitare l’evaporazione, coprire la superficie del lago con il fotovoltaico e quindi generare teoricamente circa 400 TWh, ovvero circa 20 volte la produzione prevista da questa centrale idroelettrica più grande dell’Africa e quindi coprire ad esempio il fabbisogno elettrico dell’Italia con energie rinnovabili, ma lì la soluzione del conflitto per l’acqua del Nilo sarebbe più importante.
    Ecco perché la “Grande Muraglia Verde” dovrebbe essere integrata con una “cintura fotovoltaica” e l’energia dovrebbe essere condotta verso l’Europa attraverso il Canale Congo-Mediterraneo. Lo “scambio energia/acqua” avviene (nei pressi del Lago Ciad) alla grande intersezione tra il corso d’acqua e la Grande Muraglia Verde integrata con una cintura fotovoltaica.
    – L’acqua del Congo dovrebbe quindi condurre come un secondo Nilo, come una via d’acqua dal Congo al bacino del Ciad, attraverso il Sahel e il Sahara fino al Mediterraneo, e lasciare che il deserto fiorisca nell’adiacenza del canale. Questo concetto potrebbe essere anche la base per il canale “Sib-Aral-Casp”, con il quale l’acqua di fiumi siberiani viene trasferita nella regione dell’Aral-Caspio per:
    a) diminuire l’immissione d’energia all’Oceano Artico per 5.000 TWh (= 5.000.000.000.000 di kWh ovvero mille volte la produzione elettrica in Alto Adige o l’energia di 625 centrali nucleari) e,
    b) riempire nuovamente il Lago Aral e far emergere di nuovo polmoni verdi dalle steppe e dai deserti dell’Asia centrale e contrastare così il cambiamento climatico in diversi modi.
    Pubblicazione sul sito http://www.tirol-adria.com
    Ho scritto tutto ciò direttamente all’IPCC, ma non si accettano suggerimenti da parte di privati.

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