Da rischio idrogeologico a aree protette, i dubbi di Legambiente sul deposito nucleare

Nel percorso di individuazione delle aree idonee a ospitarlo è necessario tenere presenti criticità e anomalie. La pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ha aperto il percorso. Ma secondo l’associazione le aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito sono state individuate adottando criteri omogenei sull’intero territorio nazionale e con una procedura che prevede approfondimenti in una fase successiva. “L’individuazione di un deposito nazionale per i rifiuti a media e bassa attività è un tassello fondamentale; serve garantire la procedura del dibattito pubblico”

rischio idrogeologico
via depositphotos.com

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – Dal rischio idrogeologico a quello di incidente rilevante, dalla contemplazione delle aree protette all’adozione di criteri più chiari e trasparenti. Sono questi alcuni dubbi sollevati da Legambiente sul sito che ospiterà il deposito nazionale per i rifiuti nucleari, e soprattutto sono elementi da tenere in considerazione nell’iter che porterà alla sua realizzazione. 

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Lo scorso gennaio è stata pubblicata la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito nazionale e l’annesso parco tecnologico che – viene ricordato – è rimasta secretata per sei anni in cui sono avvicendati tre governi. La pubblicazione ha aperto il percorso verso una soluzione al problema dei rifiuti radioattivi, oggi contenuti in depositi inidonei e pericolosi, oltre che smaltiti illegalmente. 

Ma secondo Legambiente “le aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito sono state individuate adottando criteri omogenei sull’intero territorio nazionale e con una procedura che prevede approfondimenti in una fase successiva, con analisi più dettagliate nei soli siti effettivamente interessati”. Per quanto possa essere comprensibile il principio – continua l’associazione – “alcuni aspetti di carattere generale sono stati tuttavia trascurati o erroneamente interpretati in questa prima fase e difficilmente potrebbero essere recuperati o modificati successivamente. Il tutto genera una serie di perplessità, domande e necessità di chiarimenti che non possono essere risolti con la sola fase di osservazione”. 

“L’individuazione di un deposito nazionale per i rifiuti a media e bassa attività – osserva il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani – è un tassello fondamentale che però richiede la massima trasparenza dell’iter, la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini: serve perciò garantire la procedura del dibattito pubblico su tutte le opere nel nostro Paese, a partire da questa, per assicurare il diritto al confronto e all’informazione sui contenuti dei progetti, all’ottenimento di risposte e tempi certi su questioni che investono il presente e il futuro dei territori”.

Cè prima di tutto il capitolo del rischio idrogeologico: i rapporti descrittivi delle aree “potenzialmente idonee” partono dal presupposto che i documenti cartografici disponibili oggi, regionali, nazionali o delle Autorità di distretto, siano assolutamente esaustivi. Nelle carte di pericolosità idraulica e geomorfologica utilizzate (riguardanti cioè il rischio frane e alluvioni) vi sono “vuoti conoscitivi non colmati o aggiornamenti non recepiti”. Per esempio la “mancanza del dato” è stata “erroneamente interpretata come mancanza di pericolosità. Manca un’analisi del rischio di incidente rilevante del deposito unico”.

Secondo le Linee guida dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) andrebbero verificate “la rispondenza a fronte degli eventi naturali ed antropici ipotizzabili in relazione alle caratteristiche di sito” ed effettuate “le verifiche in merito all’impatto radiologico in condizioni normali ed incidentali sulla popolazione e sull’ambiente”. Tra i dati meteo-climatici presentati negli elaborati sono assenti “quelli relativi al vento in quota, essenziali per determinare la possibile ricaduta di sostanze radioattive in caso di incidente. Manca, ancora, un’analisi di rete degli elementi considerati, anch’essa espressamente richiesta da Ispra: l’impatto del deposito nazionale, infatti, è rilevante per aspetti come quello paesaggistico, archeologico, storico e naturalistico nel loro complesso, e una mancanza di analisi dell’interrelazione di ciascuno di questi elementi distribuiti sul territorio appare perciò non giustificata”.

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Altro capo: aree protette e di interesse naturalistico; in molti casi, le aree proposte sono inserite in un sistema di aree protette che non può essere considerato come composto di elementi indipendenti tra loro, ma che è rete nel suo complesso. Inoltre, in questa fase “non viene tenuto conto delle condizioni che concorrono alla conservazione di un’area protetta, sempre strettamente legate a un’area d’influenza più ampia, e che dipendono anche dalla possibilità di stabilire specifici corridoi ecologici”.

Nel primo livello di analisi sulla viabilità stradale sono state “escluse tutte le aree poste a meno di 1 chilometro dalle autostrade, superstrade e strade extraurbane principali, corrispondenti alle strade che consentono il maggiore volume di traffico e la massima velocità di spostamento”. Ma il termine superstrada “non è contemplato né a livello amministrativo né giuridico. La mancanza di elementi certi porta a ipotizzare un possibile approccio discrezionale nell’applicazione del criterio escludente 13 come definito da Ispra: in base al numero di strade extraurbane secondarie considerate dal valutatore, possono infatti aumentare o diminuire le aree potenzialmente idonee per il deposito unico nazionale”.

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