Gli attrezzi da pesca sono una delle principali fonti di microplastiche che inquinano i mari e gli oceani e accumulano rifiuti lungo le coste. In Norvegia esiste un sistema di ricerca e recupero dei materiali dispersi, ma il problema centrale è che tutto è fatto di plastica

La plastica popola gli oceani
Gli attrezzi da pesca che si usano normalmente nelle industrie ittiche e nell’acquacoltura sono una delle principali fonti di microplastiche che inquinano i mari e gli oceani e che accumulano rifiuti lungo le coste.
Gli attrezzi da pesca “fantasma”
Gli uccelli ingeriscono pezzi di plastica o costruiscono i nidi sulle reti abbandonate, i pesci inghiottono microplastiche o restano imprigionati nelle reti fantasma: questo è l’effetto degli attrezzi da pesca “fantasma” che compromettono la vita del mare e dei suoi abitatori. Ma non dimentichiamo che le microplastiche ingerite dai pesci finiscono anche sulle nostre tavole.
I materiali abbandonati diventano un problema invisibile perché rimangono adagiati sui fondali, eppure sono un problema eterno. Si tratta di oggetti realizzati con materie plastiche non degradabili, come polietilene, polipropilene, poliestere e poliammide; una corda di nylon può durare fino a seicento anni in fondo al mare.
Si crea così una specie di discarica di plastica che si degrada in microparticelle a causa della luce e della temperatura.
Il sistema di recupero della Norvegia
In Norvegia è attivo un sistema di ricerca e recupero degli attrezzi da pesca abbandonati, facilitato anche dalle segnalazioni di chi ha subito perdite di materiale.
È impressionante la quantità di materiale raccolta nel mare della Norvegia solo nel 2022: 1.128 reti di vario tipo: 28.000 metri di reti, 26.600 metri di corda, 204 trappole e altri accessori, 41.500 metri di corda da traino (peraltro ritrovata casualmente, cioè non segnalata tra gli attrezzi da pesca persi), 8.500 metri di filo per la pesca a traino, oltre a cerate, guanti, sacchetti e altri rifiuti di plastica.
Una ricerca sull’economia circolare degli attrezzi da pesca rileva che, nonostante i progressi compiuti, permangono lacune nella tracciabilità degli attrezzi, nella prevenzione delle perdite e nelle infrastrutture di riciclo.
L’impegno della ricerca
Gli scienziati sono impegnati a cercare di sviluppare nuovi materiali in grado di degradarsi più velocemente e senza inquinare.
Il progetto D-Solve si occupa della biodegradabilità e dell’impatto ambientale degli attrezzi da pesca in vari habitat marini e zone climatiche, a temperature comprese tra 4° e 27°.
Tra i partner del progetto di ricerca è il Norwegian College of Fishery Science presso l’Arctic University of Norway.
La realtà è che tutto è fatto di plastica, non sarà facile venirne a capo anche se c’è una fattiva collaborazione tra università, centri di ricerca e industrie.
Quattro gli obiettivi principali della ricerca:
- creare corde e attrezzi da pesca biodegradabili
- creare attrezzi da pesca con design più semplici e quindi più facili da riciclare
- contribuire all’upscaling industriale delle soluzioni
- assicurarsi che i materiali siano riciclabili.
Non è un compito facile, perché gli attrezzi da pesca sono spesso composti di materiali diversi oltre alla plastica (piombo, rame, acciaio): sono le cosiddette “frazioni di rifiuti misti”.
Per questo la parola d’ordine è collaborazione: i diversi settori di ricerca sono infatti impegnati nel progetto Shift-Plastics in cerca di soluzioni soddisfacenti e sostenibili.