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Attrezzi da pesca, una delle principali fonti di microplastiche in mare

Gli attrezzi da pesca sono una delle principali fonti di microplastiche che inquinano i mari e gli oceani e accumulano rifiuti lungo le coste. In Norvegia esiste un sistema di ricerca e recupero dei materiali dispersi, ma il problema centrale è che tutto è fatto di plastica

Attrezzi da pesca, rifiuti plastici che inquinano il mare
Image by Peggychoucair from Pixabay

La plastica popola gli oceani

Gli attrezzi da pesca che si usano normalmente nelle industrie ittiche e nell’acquacoltura sono una delle principali fonti di microplastiche che inquinano i mari e gli oceani e che accumulano rifiuti lungo le coste.

Gli attrezzi da pesca “fantasma”

Gli uccelli ingeriscono pezzi di plastica o costruiscono i nidi sulle reti abbandonate, i pesci inghiottono microplastiche o restano imprigionati nelle reti fantasma: questo è l’effetto degli attrezzi da pesca “fantasma” che compromettono la vita del mare e dei suoi abitatori. Ma non dimentichiamo che le microplastiche ingerite dai pesci finiscono anche sulle nostre tavole.

I materiali abbandonati diventano un problema invisibile perché rimangono adagiati sui fondali, eppure sono un problema eterno. Si tratta di oggetti realizzati con materie plastiche non degradabili, come polietilene, polipropilene, poliestere e poliammide; una corda di nylon può durare fino a seicento anni in fondo al mare.

Si crea così una specie di discarica di plastica che si degrada in microparticelle a causa della luce e della temperatura.

Il sistema di recupero della Norvegia

In Norvegia è attivo un sistema di ricerca e recupero degli attrezzi da pesca abbandonati, facilitato anche dalle segnalazioni di chi ha subito perdite di materiale.

È impressionante la quantità di materiale raccolta nel mare della Norvegia solo nel 2022: 1.128 reti di vario tipo: 28.000 metri di reti, 26.600 metri di corda, 204 trappole e altri accessori, 41.500 metri di corda da traino (peraltro ritrovata casualmente, cioè non segnalata tra gli attrezzi da pesca persi), 8.500 metri di filo per la pesca a traino, oltre a cerate, guanti, sacchetti e altri rifiuti di plastica.

Una ricerca sull’economia circolare degli attrezzi da pesca rileva che, nonostante i progressi compiuti, permangono lacune nella tracciabilità degli attrezzi, nella prevenzione delle perdite e nelle infrastrutture di riciclo.

L’impegno della ricerca

Gli scienziati sono impegnati a cercare di sviluppare nuovi materiali in grado di degradarsi più velocemente e senza inquinare.

Il progetto D-Solve si occupa della biodegradabilità e dell’impatto ambientale degli attrezzi da pesca in vari habitat marini e zone climatiche, a temperature comprese tra 4° e 27°.

Tra i partner del progetto di ricerca è il Norwegian College of Fishery Science presso l’Arctic University of Norway.

La realtà è che tutto è fatto di plastica, non sarà facile venirne a capo anche se c’è una fattiva collaborazione tra università, centri di ricerca e industrie.

Quattro gli obiettivi principali della ricerca:

  • creare corde e attrezzi da pesca biodegradabili
  • creare attrezzi da pesca con design più semplici e quindi più facili da riciclare
  • contribuire all’upscaling industriale delle soluzioni
  • assicurarsi che i materiali siano riciclabili.

Non è un compito facile, perché gli attrezzi da pesca sono spesso composti di materiali diversi oltre alla plastica (piombo, rame, acciaio): sono le cosiddette “frazioni di rifiuti misti”.

Per questo la parola d’ordine è collaborazione: i diversi settori di ricerca sono infatti impegnati nel progetto Shift-Plastics in cerca di soluzioni soddisfacenti e sostenibili.

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