L’analisi dell’ong Reclaim Finance: le 20 maggiori banche di Unione Europea e Regno Unito falliscono su tutta la linea. Nessuna ha un piano di transizione credibile per il clima. Il punteggio medio è di appena 41 su 100

Nessuna delle principali banche europee e britanniche è davvero allineata con l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C. Il punteggio medio complessivo delle loro strategie di transizione climatica è di soli 41 punti su 100 e quasi tutte le banche esaminate ottengono meno di 50 punti. Intesa Sanpaolo e UniCredit restano attorno alla media, ma con deficit significativi in alcune aree chiave. Anche gli istituti di credito migliori devono “fare molta più strada” sulla finanza verde per essere credibili nella transizione ecologica. Il settore bancario è ancora ancorato a pratiche incoerenti e, in alcuni casi, apertamente contrarie agli impegni climatici sottoscritti.
Lo sostiene un nuovo rapporto di Reclaim Finance, che analizza le strategie di transizione climatica delle 20 maggiori banche dell’UE e del Regno Unito.
Finanza verde, solo di facciata: il reporting c’è, ma le strategie sono incoerenti
Un primo dato allarmante riguarda la totale assenza di piani di transizione solidi. “Nessuna delle banche analizzate può affermare di avere un piano di transizione climatica credibile”, sintetizza il rapporto. Il problema non è la mancanza di dichiarazioni pubbliche: tutte le banche si sono impegnate a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia, l’analisi rivela che queste promesse non sono supportate da piani concreti. Emergono invece strategie di decarbonizzazione e piani di engagement particolarmente deboli.
Le uniche aree in cui le banche ottengono punteggi relativamente alti sono quelle legate al reporting e alla governance (con un punteggio medio di 70/100). Ma, avverte Reclaim Finance, “la quantità di informazioni pubblicate non equivale a un’azione climatica significativa”. Si tratta spesso di documenti di rendicontazione ESG che non contengono vere leve operative per cambiare il modello di business bancario.
Strategia climatica: il grande assente nella transizione del settore bancario
I punteggi più bassi, infatti, riguardano le due categorie che misurano le azioni più concrete: strategia di decarbonizzazione (29/100) ed engagement con i clienti (20/100). È qui che emerge chiaramente il divario tra comunicazione e realtà. La maggior parte delle banche continua a finanziare progetti di espansione dei combustibili fossili, contraddicendo le proprie stesse dichiarazioni di allineamento con 1,5°C. Inoltre, le strategie di engagement sono spesso ridotte alla promozione di prodotti “green”, senza meccanismi vincolanti o strategie di disinvestimento verso clienti non in linea con gli obiettivi climatici.
Le strategie di decarbonizzazione, che dovrebbero dettagliare le azioni chiave per raggiungere gli obiettivi climatici, sono invece vaghe, parziali e in molti casi inesistenti. Solo una banca – La Banque Postale – ha escluso completamente nuovi finanziamenti a progetti fossili.
Obiettivi climatici scollegati dalle emissioni reali
Un altro limite cruciale riguarda la qualità e trasparenza degli obiettivi climatici. Anche laddove esistono, questi obiettivi sono spesso mal progettati, con copertura parziale dei settori finanziati, metriche inadeguate, e scenari di riferimento non allineati con 1,5°C. Alcuni target sono talmente poco ambiziosi da essere già stati raggiunti “sulla carta” grazie a metriche “ad hoc”, senza alcuna riduzione reale delle emissioni finanziate.
Solo poche banche hanno definito in modo trasparente la quota di attività finanziarie coperta dai propri obiettivi di decarbonizzazione. Le attività di mercato dei capitali – responsabili di una fetta enorme delle emissioni finanziate – sono quasi sempre escluse o conteggiate in modo parziale.
Male anche Intesa Sanpaolo e UniCredit
E le italiane? Tra le banche italiane analizzate, Intesa Sanpaolo ha registrato un punteggio globale di 38/100, mentre UniCredit ha ottenuto 42,1/100, a fronte di una media complessiva di 41/100 tra i 20 principali istituti europei e britannici.
Nel caso di Intesa Sanpaolo, le principali buone pratiche rilevate riguardano l’esclusione dei servizi finanziari per nuovi progetti di miniere e centrali a carbone e l’adozione di linee guida ESG sui prodotti. Tuttavia, emergono diverse criticità: bassa trasparenza nella definizione degli obiettivi di decarbonizzazione, assenza di un piano operativo concreto per la riduzione delle emissioni e mancanza di politiche restrittive su petrolio e gas.
Per UniCredit, il rapporto evidenzia alcune best practice, come l’esclusione dei finanziamenti a nuovi progetti di carbone e la presenza di dettagliate linee guida ESG. Restano però punti deboli significativi: scarsa trasparenza nella metodologia di definizione degli obiettivi climatici, esclusione delle attività di mercato dei capitali dagli obiettivi di riduzione delle emissioni, e l’assenza di strategie concrete di decarbonizzazione e di disincentivazione dei progetti fossili.
Servono più obblighi, non semplificazioni
Per Reclaim Finance, da questo panorama si può trarre solo una conclusione sulla finanza verde: le banche non adotteranno piani di transizione credibili a meno che non siano obbligate a farlo.
In UE, la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) introducono l’obbligo di piani di transizione, ma questi strumenti potrebbero essere indeboliti dalla proposta di regolamento Omnibus della Commissione europea, che potrebbe ridurre drasticamente i requisiti di rendicontazione.
In Gran Bretagna, i piani di transizione restano su base volontaria, nonostante la Taskforce nazionale abbia definito uno schema guida.