Le adulterazioni del miele sono pratiche fraudolente sempre più frequenti che danneggiano i consumatori e gli apicoltori onesti. Una tecnica innovativa basata sulla risonanza magnetica rileva le frodi, a tutela della qualità e dell’autenticità del miele italiano

L’innovazione tutela la qualità del miele italiano
Le adulterazioni del miele, il prodotto che forse più di ogni altro simboleggia la biodiversità, sono sempre più frequenti anche a causa del calo delle produzioni. Le api, infatti, sono particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico e alle sostanze di sintesi usate in agricoltura.
Le adulterazioni danneggiano consumatori e apicoltori
Una delle adulterazioni più comuni sul miele è l’aggiunta di sciroppi zuccherini a basso costo di diversa origine vegetale, con composizione complessa e di difficile identificazione.
Questa pratica non solo danneggia i consumatori e gli apicoltori onesti, ma l’intero settore apistico.
La commissione Agroalimentare dell’Ente italiano di Normazione(UNI) ha pubblicato di recente la norma UNI 11972:2025 “Miele – Identificazione di adulterazione del miele di castagno, millefiori e acacia con inulina, zucchero invertito e sciroppo di mais/malto mediante risonanza magnetica nucleare 1H-NMR”.
La pubblicazione della norma UNI contro le adulterazioni
La pubblicazione della norma UNI segna un importante traguardo per il riconoscimento ufficiale delle tecniche NMR in campo giuridico e un progresso nella tutela della qualità e dell’autenticità del miele italiano.
Questa norma introduce un metodo analitico all’avanguardia in grado di rilevare le adulterazioni del miele a partire dal 10% in peso e garantirne l’autenticità.
Basandosi sulla tecnica spettroscopica di risonanza magnetica nucleare (NMR) in alta risoluzione, il metodo identifica i marker specifici di tre adulteranti saccaridici maggiormente utilizzati per diluire il miele: inulina, zucchero invertito e sciroppo di mais/malto.
La NMR fotografa la composizione chimica del miele
In pratica con la NMR si riesce a “fotografare” la composizione chimica del miele: gli zuccheri naturalmente presenti nel miele mostrano il loro “profilo” caratteristico, mentre gli adulteranti aggiunti producono segnali specifici che li rendono identificabili.
Il gruppo di lavoro “GL 23-autenticità degli alimenti” che ha messo a punto questa tecnica rientra nell’accordo di collaborazione tra CNR e UNI, in base al quale i ricercatori del CNR partecipano anche alle attività di normazione tecnica.
Spiega Roberto Consonni dell’Istituto di Scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del CNR di Milano (CNR-SCITEC), project leader del gruppo: «Il miele, come altri prodotti alimentari di pregio, rappresenta un target per l’adulterazione al fine di ottenere maggiori profitti; inoltre, in questi ultimi anni, a causa dei cambiamenti climatici, le quantità di miele risultano fortemente ridotte.
Quasi la metà del miele importato in Europa è adulterato
Analisi internazionali – come un recente “technical report” del JRC – hanno fornito segnali allarmanti, affermando che quasi la metà del miele importato in Europa da differenti nazioni europee ed extra-europee non è conforme alla direttiva europea 2001/110/EC, che definisce gli standard qualitativi minimi per il miele per uso alimentare: è, cioè, da considerarsi adulterato».
Continua Consonni: «La tecnica è stata testata su tre varietà botaniche di miele, in particolare miele di castagno, millefiori ed acacia con i tre adulteranti saccaridici.
Nel laboratorio NMR di CNR-SCITEC si è messo a punto un protocollo analitico per la preparazione dei campioni, l’acquisizione dei dati NMR e il processing dei dati ottenuti dalle misure eseguite.
La validazione del metodo
Questo protocollo, che ha testato l’adulterazione dei campioni di miele autentico con ciascuno dei tre adulteranti in percentuali dal 10% al 30% in peso è stato condiviso con laboratori nazionali di enti di ricerca diversi, che hanno analizzato gli stessi campioni e validato il metodo».
Al gruppo di lavoro hanno partecipato anche studiosi dell’Istituto di Chimica biomolecolare (CNR-ICB) e dell’Istituto per i Sistemi biologici (CNR-ISB), della Fondazione Edmund Mach, e delle Università degli Studi di Milano, di Parma, del Politecnico di Bari, del Salento, di Modena e Reggio Emilia e di Padova.