Un nuovo rapporto di Climate Analytics accende i riflettori su un tema poco “visibile”, ma fondamentale per la transizione ecologica: molti paesi sovrastimano la capacità delle proprie foreste di assorbire CO2. Creando ambiguità nei bilanci emissivi e nelle traiettorie verso gli obiettivi climatici

Le foreste del pianeta assorbono ogni anno miliardi di tonnellate di CO2, rallentando la corsa verso l’esaurimento del budget di carbonio che ci resta per non sforare 1,5°C. Ma cosa succede se questo “freno naturale” dell’assorbimento CO2 foreste è molto meno efficace di quanto dichiarano i governi?
Assorbimento CO2 foreste: il problema degli inventari nazionali
Secondo un nuovo rapporto pubblicato da Climate Analytics, c’è un divario crescente tra le stime scientifiche sull’assorbimento di carbonio da parte delle foreste e i dati ufficiali contenuti negli inventari nazionali.
In altre parole, molti paesi starebbero gonfiando — intenzionalmente o per limiti metodologici — il ruolo delle foreste nei propri bilanci emissivi. Il risultato? Una visione distorta della reale traiettoria climatica e del bisogno effettivo di riduzioni delle emissioni fossili.
Un problema tecnico? Tutt’altro. Questa discrepanza potrebbe compromettere la capacità globale di restare entro l’obiettivo di +1,5°C dell’Accordo di Parigi, anche seguendo le attuali traiettorie dichiarate. Più le foreste assorbono sulla carta, più emissioni fossili diventano ‘permesse’ nei modelli nazionali, spiegano gli autori del rapporto. Ma il carbonio assorbito dagli alberi è stoccato solo temporaneamente. Quello immesso in atmosfera dai combustibili fossili, no.
“Questo disallineamento implica che siano necessarie riduzioni delle emissioni più rapide di quanto suggeriscano gli approcci basati sui dati ufficiali degli inventari nazionali”, scrivono gli autori. “Inoltre, i metodi attuali di contabilizzazione dell’assorbimento LULUCF possono ampliare significativamente il budget fossile rimanente per rispettare gli NDC nazionali”.
Inventari troppo ottimisti: le cause del disallineamento
Alla base di questo scarto ci sono differenze sostanziali tra le metodologie adottate dagli stati e quelle utilizzate dalla comunità scientifica. Gli inventari nazionali si basano spesso sulla classificazione delle foreste come “terre gestite”, considerando quindi ogni cambiamento nello stock di carbonio come antropogenico, anche quando il sequestro è dovuto a fattori naturali.
Questo porta a includere nei conteggi passivi degli assorbimento di carbonio (carbon sink) non riconducibili ad azioni umane dirette. Così i numeri vengono gonfiati e gli stati possono contare su uno spazio di manovra più ampio per ridurre le emissioni da combustibili fossili.
Inoltre, le metodologie scientifiche tendono a distinguere più chiaramente tra assorbimenti antropogenici e naturali e adottano definizioni più restrittive e coerenti a livello globale. Gli inventari nazionali, invece, variano per approcci, capacità tecniche e definizioni di base, rendendo difficile confrontare i dati tra paesi o integrarli in modelli globali.
Che fare?
Il rapporto di Climate Analytics propone una serie di raccomandazioni per correggere la rotta e riuscire a rispettare in modo più coerente e uniforme gli obiettivi sul clima dell’Accordo di Parigi.
Secondo il rapporto, le priorità sono:
- separare chiaramente le riduzioni di emissioni fossili dagli assorbimenti LULUCF nei target climatici;
- riformare le metodologie di contabilizzazione, distinguendo tra sequestri antropogenici e naturali;
- evitare l’uso di crediti forestali per compensare emissioni fossili, e riservare questi meccanismi di mercato alle sole rimozioni permanenti e verificabili;
- dare priorità alla riduzione delle emissioni da combustibili fossili, dando agli assorbimenti naturali solo un ruolo complementare.