Carbon Tracker analizza 140 audit report relativi ai bilanci 2022 (e in parte 2023) di aziende ad alta esposizione carbonica

I revisori contabili stanno integrando poco e male i rischi sistemici che derivano dal cambiamento climatico nelle loro relazioni sugli audit di sostenibilità. Lo fa solo il 2-4% degli auditor. Penalizzando la trasparenza delle imprese, ma anche la loro capacità di pianificare il futuro del loro business in un mondo trasformato dal riscaldamento globale.
Lo sostiene l’ultimo rapporto di Carbon Tracker, “Flying Blind: Disabling Autopilot for Audit Reports”. Il documento analizza la trasparenza delle audit firm di fronte ai rischi climatici e di transizione energetica. Il rapporto si basa sull’analisi di 140 audit report relativi ai bilanci 2022 (e in parte 2023) di aziende ad alta esposizione carbonica, selezionate tra quelle monitorate dall’iniziativa Climate Action 100+.
E il verdetto è netto: “La stragrande maggioranza delle relazioni di revisione analizzate non fornisce alcuna indicazione su se e come i revisori abbiano considerato gli impatti dei rischi climatici e della transizione energetica nei bilanci aziendali”.
Audit sostenibilità, il nodo della trasparenza
I revisori non stanno valutando in modo coerente e sistematico l’impatto finanziario del cambiamento climatico nei documenti ufficiali di reporting. Nonostante i revisori contabili siano attori chiave per garantire fiducia nei mercati finanziari.
Eppure, nel 2022 (e ancora nel 2023), il livello di trasparenza sulle valutazioni climatiche è rimasto sorprendentemente basso, nota Carbon Tracker.
Vediamo i numeri:
- solo il 4% dei 140 audit report analizzati ha fornito evidenza chiara della considerazione dei rischi climatici (Metric 2a),
- appena il 2% ha commentato le incoerenze tra il reporting finanziario e le dichiarazioni climatiche delle imprese (Metric 2b)
- va ancora peggio sul fronte dell’allineamento con gli obiettivi net-zero (Metric 3b), dove nessun report ha soddisfatto pienamente i criteri di valutazione.
Dietro i numeri: quali cause?
Il rapporto individua 2 fattori principali per spiegare il problema.
- Mandato dei revisori: le relazioni di revisione con scarso contenuto climatico sono spesso associate a incarichi ultra-decennali. Una rotazione più frequente degli audit firm potrebbe stimolare un maggiore rigore professionale, suggerisce Carbon Tracker.
- Pratiche incoerenti tra paesi e sedi: all’interno delle stesse grandi reti globali di auditing (i Big Four), Carbon Tracker ha osservato approcci molto diversi da una sede geografica all’altra. Nonostante gli standard internazionali (ISA e PCAOB) siano sostanzialmente convergenti, la loro applicazione concreta varia molto. Lasciando dei buchi nella copertura dei rischi climatici.
Che fare?
Per cambiare rotta, il rapporto suggerisce una serie di raccomandazioni rivolte a revisori, regolatori e investitori:
- Per i revisori: esplicitare i controlli svolti su stime e ipotesi gestionali in relazione al clima; garantire coerenza tra le pratiche a livello di network; commentare eventuali incoerenze tra reporting finanziario e dichiarazioni ambientali.
- Per i regolatori: rivedere le regole sulla durata degli incarichi di revisione e rafforzare il coordinamento internazionale per migliorare l’omogeneità delle disclosure.
- Per gli investitori: esercitare pressione attraverso engagement e voto in assemblea, includendo la qualità della revisione tra i criteri di valutazione degli organi di controllo.