Solo il 16% delle aziende ha indebolito piani di transizione e obiettivi ESG. Il 37% li ha migliorati. E si impegno sempre di più anche le aziende medie e piccole. Le emissioni Scope 3 sono più un ambito a cui guardare per generare nuovo valore che una zavorra. Il rapporto annuale di PwC sulla decarbonizzazione d’impresa

Siamo davvero di fronte a un arretramento degli impegni ESG delle aziende? Le difficoltà e l’ondata di semplificazioni Omnibus in Europa e il cambio di amministrazione alla Casa Bianca stanno davvero incidendo su qualità e quantità dei piani di transizione delle imprese? Legittimo crederlo vista la congiuntura in cui ci troviamo. Ma i numeri dicono altro.
Lo mette nero su bianco il 2° rapporto annuale di PwC sulla decarbonizzazione e le imprese, che ha analizzato piani di transizione e impegni ESG delle aziende selezionando oltre 4.100 realtà globali. Guardando da vicino i dati, emerge un quadro piuttosto controcorrente.
Impegni ESG aziende: solo il 16% arretra sulla sostenibilità
Il primo dato da cui partire riguarda l’orientamento delle aziende rispetto al livello di ambizione dei loro impegni per la sostenibilità. L’arretramento c’è ma è marginale: solo il 16% delle imprese ha indebolito standard, obiettivi e requisiti. L’84% continua sulla traiettoria precedente. E il 37% delle aziende analizzate sta aumentando le proprie ambizioni. Quasi 1 su 4.
Si potrebbe immaginare che le imprese di grossa taglia siano quelle più impegnate sul fronte della sostenibilità, mentre le medie e piccole aziende siano le prime a tralasciare la sostenibilità. Non è così. Il numero di piccole imprese che fissa piani di transizione e obiettivi climatici è in crescita. Lo si vede dal fatturato medio delle aziende che assumono impegni ESG: nel 2020 era 3,6 miliardi di dollari, nel 2024 era sceso a 1,3 miliardi.
Altro ”mito” sugli impegni ESG delle aziende: le emissioni Scope 3, ossia quelle indirette generate lungo la catena del valore, sono perlopiù tralasciate. Questo è vero solo fino a un certo punto. Certamente gli impegni su questo fronte sono meno numerosi e solidi rispetto alle emissioni dirette e quelle legate ai consumi energetici. Ma sono anch’essi in forte crescita. Le aziende che fanno la disclosure delle loro emissioni Scope 3 è passato da 2.000 nel 2020 a oltre 3.600 nel 2024.
Altri segnali positivi? Le aziende tendono a mantenere inalterati gli impegni per la sostenibilità anche dopo un avvicendamento dei vertici. La maggior parte prevede che più di 1/3 del loro fatturato nel 2030 sarà legato alla transizione climatica. Per posizionarsi in quest’ottica, hanno intenzione di aumentare la quota di spese in conto capitale e spese operative, nei prossimi cinque anni, allocata per mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. Oltre a ripensare le loro linee di prodotti per catturare la domanda in evoluzione dei clienti di beni prodotti in modo più sostenibile (che vale un aumento del fatturato tra il 6 e il 25%).
Il gap tra ambizioni e realtà
La nota dolente arriva quando si confrontano i piani di transizione con i risultati effettivamente raggiunti. Il divario è ancora molto elevato, nonostante si stia progressivamente (ma troppo lentamente) riducendo.
Mentre si stanno facendo buoni progressi su Scope 2, solo il 46% delle aziende è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di Scope 1. Percentuale che sale al 54% quando si considerano gli obiettivi di Scope 3.
C’è però anche qui un dato interessante che emerge dal rapporto di PwC: “Le aziende con obiettivi relativamente più ambiziosi tendono a essere sulla buona strada, mentre quelle che adottano un approccio più conservativo con gli obiettivi sembrano anche approcciare i loro programmi con cautela e sono in ritardo rispetto ai loro obiettivi”.