Una questione chiave su cui i leader dell'UE non trovano un terreno comune è l'utilizzo dei crediti di carbonio esteri.

I Paesi europei sono ancora molto divisi riguardo l’obiettivo climatico per il 2040 dell’UE. I Governi dell’Unione ne stanno ancora discutendo, nonostante manchino davvero pochissimi giorni alla riunione straordinaria del Ministri dell’Ambiente fissata per il 4 novembre e all’inizio dei lavori della COP30.
Ancora nessun accordo sull’obiettivo climatico per il 2040 dell’UE
Il 4 novembre è previsto che i Ministri europei approvino l’obiettivo climatico, per evitare di arrivare alla COP30 in Brasile senza un target ufficiale. L’UE è impegnata in una corsa folle, giacché la riunione dei leader inizierà il 6 novembre. Tuttavia, fonti diplomatiche avrebbero riferito all’agenzia Reuters che l’UE sarebbe ancora ben lontana da un accordo definitivo e che servirà lavorare tantissimo per evitare un altro buco nell’acqua. I leader europei si erano incontrati il 23 ottobre ma la discussione in seno al Consiglio europeo era terminata senza che si arrivasse ad alcuna decisione.
La Commissione ha proposto di ridurre del 90% le emissioni climalteranti entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990 ma diversi Stati Membri temono che questo obiettivo possa gravare in maniera eccessiva sulle imprese nazionali e sulle industrie, penalizzandole. Sono mesi che l’UE ne sta discutendo, il blocco ha già mancato la scadenza di inizio anno e anche quella di settembre, offerta dalle Nazioni Unite ai Paesi ritardatari.
Se i Ministri non troveranno un accordo neanche il 4 novembre, la Presidente della Commissione. Ursula von der Leyen, sarà costretta a confrontarsi con gli altri leader mondiali alla Conferenza delle Parti sul Clima senza avere nulla da presentare. In quel caso, verrebbe meno la credibilità stessa dell’UE di porsi come leader della transizione. Cina, Regno Unito e Australia hanno già annunciato i loro nuovi obiettivi climatici.
Nodi fondamentali ancora da sciogliere
Venerdì 31 ottobre a Bruxelles si è svolta una riunione degli Ambasciatori. Lo scopo era appunto gettare le basi per un accordo. La riunione, tuttavia, non avrebbe sciolto i nodi fondamentali, rimandando i negoziati finali al vertice dei Ministri del 4 novembre. Per poter approvare l’obiettivo climatico è necessario il sostegno di almeno 15 dei 27 Membri dell’UE. Alcuni Paesi, come l’Italia e la Polonia ritengono che l’obiettivo proposto del 90% sia troppo penalizzante, mentre altri, come Spagna e Svezia, vogliono tagli più ambiziosi alle emissioni.
L’UE viene meno alle promesse sul clima
In base a una bozza di accordo visionata da Politico, l’UE potrebbe introdurre la possibilità di valutare ogni due anni i progressi compiuti verso il raggiungimento del nuovo obiettivo climatico per il 2040. Le valutazioni dovrebbero tenere conto di “prove scientifiche, progressi tecnologici e sfide e opportunità in continua evoluzione per la competitività globale dell’UE“. Questo meccanismo però consentirebbe a Bruxelles di modificare, e potenzialmente indebolire, l’obiettivo climatico al 2040.
Il freno d’emergenza sull’obiettivo climatico per il 2040 dell’UE
In tal senso, in vista della riunione del 31 ottobre, il Governo francese avrebbe suggerito una sorta di “freno di emergenza“. Questo freno potrebbe permettere all’UE in futuro di rivedere il taglio del 90% delle emissioni di un eventuale 3%, qualora le foreste dovessero assorbire meno CO2 del previsto. La proposta sarebbe stata pensata per convincere i Governi scettici. Questi infatti temono che le loro industrie potrebbero essere forzate a ridurre le emissioni più rapidamente per poter raggiungere l’obiettivo del 2040, nel caso appunto le foreste non riescano ad assorbire abbastanza carbonio (come si spera).
La presidenza danese ha invece suggerito di introdurre delle misure per evitare di penalizzare un settore specifico (per esempio le industrie fortemente inquinanti) se altri non riescono a raggiungere i loro obiettivi di riduzione o assorbimento delle emissioni (le foreste, prima di tutto). La proposta infatti affermerebbe che eventuali carenze in un settore non andrebbero a scapito di altri comparti economici, in particolare quelli industriali, nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE.
Il profondo disaccordo sui crediti di carbonio
Una questione chiave su cui i leader dell’UE non trovano un terreno comune è l’utilizzo dei crediti di carbonio esteri in Paesi a basso reddito, vale a dire quegli strumenti che i Membri dell’UE finanziano in altri Stati per compensare le proprie emissioni di carbonio.
Per la Francia questi crediti internazionali potrebbero potenzialmente coprire il 5% del taglio del 90% delle emissioni. La Polonia invece chiede una quota maggiore: fino al 10%. La Germania sarebbe per il 3%, mentre altri Stati, come la Danimarca, erano proprio contrari a utilizzare i crediti di carbonio esteri per compensare le emissioni. La Commissione aveva proposto di limitarne l’utilizzo al 3% a partire dal 2036 ma fino a questo momento gli Stati non erano d’accordo neanche sull’anno a partire del quale utilizzarli.













