Da uno studio americano dei micro depuratori, simili a palline appiccicose che "catturano" le microplastiche e le portano in superficie

Le microplastiche sono ovunque. Nei mari, nei fiumi, nei laghi. Nell’acqua che beviamo. Studi evidenziano la presenza nel sangue umano, fino al cervello. Insomma sono un pericolo per l’ambiente, animali e uomo. Ed i metodi tradizionali, come i filtri o la centrifugazione, non funzionano bene perché le particelle sono troppo piccole e leggere. Negli Stati Uniti uno studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Advanced Functional Materials, potrebbe aver trovato una strategia promettente per la pulizia di microplastiche.
L’innovazione delle “spugne intelligenti”
I ricercatori della North Carolina State University hanno ideato dei micro depuratori attivi, come se fossero delle spugne intelligenti, che si muovono da sole nell’acqua e raccolgono le microplastiche. Questi depuratori si chiamano colloidi dendritici morbidi. Sono composti da un materiale naturale, che si ottiene dagli scarti dei crostacei, gusci di gamberi e granchi: il chitosano.
Il motivo per cui questi microdepuratori riescono a catturare le microplastiche risiede nella loro struttura. Infatti sono fatti a rami (fibrillare gerarchica), come se fossero dei rami di un albero in miniatura, con una peculiarità: sono appiccicosi e riescono ad attaccarsi facilmente alle microplastiche grazie a forze molto deboli, ma efficaci (chiamate forze di van der Waals), anche in condizioni di umidità e salinità, come l’acqua dell’oceano.
Il quesito dei ricercatori
Gli scienziati dell’ateneo americano si sono chiesti: “Possiamo creare materiali di pulizia sotto forma di particelle morbide che si autodisperdono nell’acqua, catturano le microplastiche mentre affondano e poi ritornano in superficie con i contaminanti di microplastica catturati?“. Applicando una serie di principi, la risposta è stato affermativa. Ma come funzionano questi micro depuratori autonomi?
Pulizia microplastiche, come funzionano?
I micro depuratori vengono uniti fino a formare una sorta di pallina più grande, che una volta messa in acqua, riesce a muoversi da sola sulla superficie, grazie a dell’olio naturale (eugenolo) messo su un lato; un movimento che si chiama effetto Marangoni. “Questo permette ai nostri micropulitori di diffondersi su un’area più ampia, catturando le microplastiche mentre si muovono e scendono” dicono i ricercatori. Ma il fatto interessante è che a contatto con l’acqua, la pallina si riapre e si disperde in tante particelle piccole che scendono verso il fondo, raccogliendo le microplastiche lungo il tragitto.
A lavoro finito
Quando hanno finito la raccolta, il magnesio all’interno delle particelle reagisce con l’acqua producendo bollicine di gas che spingono le particelle verso l’alto, portando le microplastiche raccolte. Ma non prima che la gelatina che avvolge il magnesio si sia sciolta, giusto il tempo per raccogliere più rifiuti possibili. In sostanza, strati più spessi di gelatina ritardano la risalita in superficie delle particelle. A lavoro finito, i micro depuratori non raccolti si degradano, quindi sono del tutto compatibili con l’ambiente marino.
Da prototipo a prova reale
Secondo gli studi del team americano, queste particelle possono “nuotare” e raccogliere le microplastiche fino a 30 minuti. Una volta arrivate in superficie, le particelle formano una specie di schiuma densa che può essere facilmente rimossa con una rete. E non solo: quella schiuma può essere trattata per estrarre altro chitosano, e quindi produrre nuove particelle pulitrici. I prossimi passi saranno test su larga scala e in ambienti reali, come fiumi o porti.